— 116 — non un elemento secondario od accessorio, ma parti prevalenti e privilegiate del più esteso Stato veneto. Da questo punto di vista, il Rettore ed il Provveditore veneziano non si presentavano soltanto con le armi e con mezzi di dominio, ma animati dall’idea cittadina, vale a dire, da un senso di ordine, di disciplina sociale, di collaborazione, da un senso di vera e propria costruzione politica, di misura e di proporzione, del tutto ignoto ad alcuni tra i popoli che, dopo il 1492, si volgevano all’America, esercitando poi ivi un’opera colonizzatrice basata sull’impreparazione, sul disordine e sullo sfruttamento più sfacciato (1). Venezia voleva plasmare tante città; dare ad esse l’impronta della sua vita economica; comunicare tra i popoli più diversi il benessere di quell’economia la quale per otto secoli aveva segnato un continuo prevalere; ma a quest’opera positiva nessun popolo si poteva accingere se non munito da un senso giuridico e politico di primissimo ordine, su cui dominatrice avesse spaziato l’idea della sovranità dello Stato (2). Il dominio delle comunità cittadine, spesso culte, non era infatti il dominio di sparse popolazioni indigene lontane da una fase d’evoluzione ancóra avanzata; esso richiedeva una perfezione di sistemi legislativi ed un affinamento di azione che la Repubblica appena sapeva dare dopo un cammino difficile di lotte e di esperienza. Ma pure Venezia ricostruisce città e porta la sua forza ad assistere, in un momento di estrema delicatezza, il primo urto fra l’economia cittadina e quella territoriale, rafforzando la prima nel suo primo processo di confronto. Le città greche sono accolte come « sociae civitates », non mutano le loro leggi interne e le loro antiche consuetudini. Solo le innovazioni che ledono il sistema comunale e con esso, conseguentemente, il sistema economico veneziano sono con attenzione vigilate dal governo della Repubblica, che si sforza ad imprimere la vita veneta ovunque pericolosi mutamenti potessero far allora sentire la propria influenza. d’Italia, L. Ili), « era, senza dubbio, uno degli scaglioni opportunissimi a salire alla monarchia d’Italia ». Di fronte perfino a Massimiliano i veneziani amavano chiamarsi « imperatores quartae partis Europae » (Romanin, Storia Veneta, T. V, pag. 125; A. Dall’Acqua-Giusti, La Rep. di Venezia e la Terraferma d’Italia, Venezia, 1864). (1) Colonizzare significava, come dice bene il Langlois, per alcuni popoli, « charger le gàlions de l’or des mines ». (2) Nel 1258 si decreta (Arch. St. Venezia, Comp. leggi, v. Candia): « Capta fuit pars in Consilio Majori, et ordinatum, quod de cetero Duca Cretae, et consiliarii eius non de-beant, neque possint conducere secum, sive tenere filium, fratrem, vel nepotem, qui non sunt divisi ab ipsis... ».