— 184 — Sembra allora un enorme assedio. Il dominio cittadino resiste, vince, ma i popoli periferici lentamente crescono. L’investitura della terra per parte della città permane con la forza cittadina, con la forza della tradizione e con le risorse economiche cittadine. Non doveva però la sovranità permanere, in quanto un ente, veramente sovrano e capace, agisse come signore, con mezzi di azione che vivificassero il diritto? L’equilibrio non era di forze economiche, ma, purtroppo, di patti consacrati che subivano la corrosione del tempo. Alimentare un’economia agraria straniera senza che questa venisse controbilanciata da un potente sviluppo industriale veneziano era cosa pericolosa; geniali, ma pur sempre temporanei, apparivano i provvedimenti intesi a rafforzare la dipendenza economica delle forze organizzate sulla terra, sempre maggiormente controllate. Il regime giuridico e politico delle popolazioni della terra doveva avvicinarsi ad un regime di controllo, non di collaborazione, perchè la collaborazione veniva annullata dalla concorrenza. Il meccanismo di questa trasformazione certo si avvicina, nel risultato, alla fase di trasformazione che subiscono o subivano alcune delle più grandi potenze coloniali moderne. Ma è bene fare un confronto, più preciso per altro aspetto, confronto che ci rivela una diversità di posizioni. Metropoli, gruppo metropolitano in colonia, popolazioni indigene rappresentano i tre piloni intorno ai quali si intesse lo scambio. Con un’immagine si direbbe che il colono porta il lavoro della metropoli ove non ce n’è. Ove non ce n’è, o esso è rarissimo, il lavoro vale ed opera, nei confronti della terra, prodigiosi guadagni. In processo di tempo — anzi, fin dall’inizio — il movimento coloniale porta lavoro, attraverso il nucleo metropolitano, in colonia, ed è il nucleo cittadino coloniale, soprattutto, che mette in moto lo scambio al centro di un disquilibrio. L’aspetto più robusto del fenomeno coloniale della metropoli si rivela quando essa opera con città di scambio, con nuclei operanti con una attività indirizzata a questo, non già quando le città coloniali si sostituiscono alle metropoli perchè sature di lavoro. I piccoli nuclei veneziani, lanciati ai margini delle terre d’oltremare, agivano come mezzi della metropoli. Ma purtroppo nelle colonie moderne il trasporto persistente di talune attività tende ad una saturazione; e chi sente la saturazione, forse per prima, è la città coloniale che non ha più bisogno della metropoli, la quale alimenterebbe un lavoro concorrente. Ecco allora che la città coloniale pone una barriera tra sè e la metropoli lontana. La saturazione si percuote all’origine, dove era il centro propulsore