— 200 — vano ben altri squilibri e, soprattutto, la possibilità di crearne dei nuovi. Il centro del lavoro, diremo, sospinto dal bisogno, fioriva sotto nuove forme, trovava nuovi sbocchi, nuovo terreno, aveva suoi alleati lo spazio e il tempo. Anche molto più tardi, nell’età del carbone, se il centro del lavoro tende a spostarsi e quasi a livellarsi, esso rivela sulla terra satura forme nuove di energie pronte a continuare, in un senso o nell’altro, il processo di « spostamento del lavoro ». Anche tra metropoli e colonia il fenomeno, che è d’interesse eccezionale, è visibile. Finito il ciclo attivo per parte della metropoli, che si ritrae in uno stadio conservativo di ricchezza, comincia quello coloniale il quale fiorisce su un terreno più propizio. Quando infatti la metropoli, spinta dal bisogno, si dirige su un terreno di espansione, subendo, diremo, gli effetti di un eccesso di lavoro, essa cerca di trovare un campo di sfruttamento opposto a quello del territorio della madrepatria. Questo maturar di condizioni, di ricchezze, di campi di sfruttamento rappresenta la base e la sicurezza della continuità dello scambio. La metropoli cerca una base diversa; quest’ultima, non appena a sua volta giunta ad un grado di saturazione, è in uno stato propizio per slanciarsi verso un nuovo orizzonte. Ci si presenta quasi l’immagine di un ponte infinito piantato su piloni che rappresentano altrettante metropoli ed i cui archi sottendono una serie di epoche. Il lavoro passa su questo gran ponte sostenuto prima dal pilone metropolitano, poi da questo e dal pilone coloniale, poi ancóra soltanto da quest’ultimo. L’epoca dello splendore e della potenza coloniale è quando il lavoro non ha ancóra raggiunto il punto centrale del cammino tra pilone e pilone, quando il lavoro, sull’arco, poggia ancóra verso la metropoli. Diremmo allora che il pilone coloniale è ancór povero di lavoro. Perchè la via prosegua è necessario che il cammino non sia arrestato al pilone coloniale; ma il lavoro non può procedere, non può avanzare senza la nuova costruzione che a gradi segna ed agevola il cammino, senza questa giovane e robusta opera che accorcia lo spazio e spiana la via. La natura è lineare, progressiva; nessuno può seriamente fissare i suoi confini e neppure i limiti dei campi di lavoro. Questo lavoro pulsante che passa sugli archi del ponte prepara sempre, rafforza un cammino; ma rafforza il cammino a suo beneficio, perchè il moto è anche ragione della vita e del suo divenire. 3. — Il moto pulsante dello Stato coloniale che regge una società « carica » di lavoro imprime caratteri esterni ben marcati a tutta