— 107 — Tutti questi tre assetti, che, nella loro applicazione, oscillano di grado a seconda della posizione geografica e politica ed a seconda degli eventi, sono illuminati da quella che veramente è la più grande gloria dell’espansione coloniale veneziana : il Comune. Il Comune è infatti il centro di questi assetti che superano le mura cittadine, è l’elemento propulsore, il crogiuolo di resistenza e di direzione, l’anima di queste formazioni talora complesse; è attorno ad esso che si allarga e si rafforza, come larga aureola, il dominio repubblicano. Qualsiasi forza, sia veneziana, sia straniera, sottoposta all’alta sovranità del governo della Repubblica, è rivolta al Comune, alta purissima immagine della patria lontana (1). Quale dei tre sistemi però Venezia assume di preferenza? Non è facile poter dare una risposta precisa in relazione ad un esatto concetto di divisione di tempo o di epoche; ma appare evidente l’importanza che, per la sua pratica economica attuazione, assume il sistema intermedio, quello cioè dell’intervento di controllo realizzato nella colonia mista di dominio. Il vertice direttivo di una costellazione di piccole società politiche è ciò che interessa a Venezia, non le società politiche organizzate, che ben possono servire ai suoi scopi. Controllo di azione, Venezia voleva; alimento, non sfruttamento; controllo del cuore di questi nuclei, entro i quali mai doveva essere soppressa la libertà veneta (2), sorvegliata dall’alta sovranità della Repubblica. Ovunque però un interesse, a scopo difensivo, alla penetrazione nell’àmbito territoriale sussiste, dal Comune si snodano le forze che (X) Una ambasceria di Nicolò Corner, Andrea Dandolo e Michele Gradenigo del 1325 (Arch. Stato di Venezia, Duca Candia, b. 50) è di grande interesse per far scorgere con quale rigore il Comune coloniale di Candia si difendesse da assemblee di feudatarii che cercavano allora staccarsi dalla supremazia dell’autorità comunale. Il Comune doveva sempre prevalere, magari innestandosi al feudo. « Captum quod pheudati predicti non possint ad invicem convenire seu aliquam fa-cere adunacionem sive congregationem... quocumque per eorum negotiis volent insimul convertere et... conveniant, et consulant in Palacio Duchae requirentes tamen ante omnia Ducham et suos Consiliaros de hoc cui Ducha, et Consiliariis teneant, quandocumque tuerint requisiti infra tertiam diem ad plus a die facte requisitionis facere pulsare consi-lium, et preconizari exprimendo quod illud tale est consilium pheudatorum ut, audita campana, et voce preconis quolibet pheudatorum in dicto Palacio una ad alios valeant ingresse et si placuerit Duca et et suis Consiliariis dictis pheudatorum Consilii adesse... »-Il Duca e i consiglieri avevano facoltà o meno di accettare le « ...provisiones, et partes captas et ordinatas per dictorum pheaudatorum Consilia ». Non potevano però « annullare seu lacerare » deliberazioni, con cui si fosse stabilito d’inviar ambasciatori a Venezia, nè impedire che questi raggiungessero la metropoli. (2) Dove non vi è un interesse immanente che consiglia di piantare colonie autonome veneziane, la Repubblica non è aliena dal concedere territorii in feudo anche a principi Greci, favorendo così la popolazione locale, soddisfatta di essere retta da propri capi. Fedeltà giurata, annuale tributo, libera estrazione di merci, concessioni, privilegi, sono richiesti dalla Repubblica.