— 136 — stirpi, gettate da secoli verso l’Egeo e le costellazioni delle sue isole, che serravano ancora una grande via del commercio mondiale (1). Ma ben presto le relazioni dei Provveditori e magistrati veneziani ci possono segnalare un miglioramento della situazione relativa al governo della giustizia nel regno della Morea, nel cui àmbito si alimentavano regimi indipendenti a carattere famigliare (2). Nel favorire il nesso economico, nel rinfrancare un’economia corrosa dall’ondata anticittadina, si plasmano le basi della supremazia veneziana, che sfrutta la necessità del fenomeno collaborativo, perchè ancora i popoli possono essere dei continuatori, possono costituire dei seguiti, non ancora costituiscono ostacoli da respingere sotto la forza poderosa della concorrenza della popolazione mondiale. Tali basi complesse, su cui necessariamente si forgia il diritto coloniale veneziano, logicamente respingono le illazioni intese a dimostrare gravi persistenti difetti nell’amministrazione veneziana, ponendo invece, ancora, in debita luce le ragioni della perfezione degli ordinamenti d’oltremare. Se una relazione del 1638 afferma che gli « abusi nascosi alla pubblica notitia et celati alle provvisioni necessarie » avvengono talora per la distanza dei paesi, non dimentica di dirci che i sudditi si gloriano d’essere retti da un Principe « il più benigno e il più giusto », soprattutto quando la giustizia con celerità e con assoluta indipendenza è governata dai Magistrati spediti direttamente da Venezia (3). Se l’amministrazione della giustizia nella Grecia era manchevole, tale fatto anche si riconduce alle difficoltà di mantenere in assetto con le leggi d’autonomia un popolo che si dimostrava in alcune regioni estremamente litigioso, ed al fatto che i greci badavano, forse troppo, al proprio esclusivo personale interesse. Le relazioni veneziane dipingono le doti, l’industriosità, il valore delle popolazioni greche, specialmente delle isole, ma non tralasciano di far cenno (1) L’isola di Tinos, in pieno secolo XVI, era poi un’oasi italiana; una terra per nulla differente dalle regioni dell’Italia. Così la chiamava Nicolò Barbarico nella relazione del 1563. Tinos è « la più bella, la più ricca et la più habitata di tutte l’isole del-l’Arcipelago, non parlando però dell’isola di Scio... per la descrittion, ch’io feci far trovai, ch’era habitata da 9 mila persone, buona parte delle quali usa la lingua italiana et vive nel rito latino, cosa riputata degna di meraviglia di un popolo, che habita nel mezzo dell’istessa Grecia... si può dir che quell’isola non sia quasi per nissun’altra cosa differente da queste nostre parti d’Italia... ». (2) Il Corner diceva poi nel 1690: « m’attrovo nell’istmo (di Corinto) quella pietra di scandalo, non so se più pregiuditiale perchè separi due Mari con tanto incommodo della navigatione, o perchè unisca due terre con tanto disturbo alla quiete del Regno ». (3) La stessa relazione ci dice che i sudditi « andavano con le maggiori benedizioni... lodandosi che tutta Venezia era allora nel Regno, per le piene commissioni » impartite dal Senato.