NOTE AL CAPITOLO QUARTO (*) Il conte di Marcheville. (2) Disp. 20 maggio 1633, n. 18, F. 114. (3) Delib. 9 luglio 1633. Il bailo ringraziò col disp. 5 settembre, n. 39, F. 114, (4) Disp. Foscarini 24 settembre 1633, n. 42, F. 114. (5) Delib. 12 novembre 1633. (6) Disp. 31 dicembre 1636, n. 5, F. 118. (7) Delib. 4 marzo 1637. Il bailo ringraziò col disp. 30 aprile, n. 18, F. 118. (8) Forse di quel Giov. Batt. Saivago che è menzionato come dragomanno da strada e « buono ed antico servitore» nella relazione di Alvise Contarmi del 1641 (B. B., I, 427), e che è probabilmente l’autore delle opere indicate da P. Donazzolo, op. cit., p. 207. (9) Come abbiamo già accennato, Gioia e Bastian Saivago sono nominati assieme come creditori per arretrati d’affitto del palazzo, durante la guerra di Candia, anche nel conto allegato in copia al disp. 9 maggio 1724, n. 30, del bailo Francesco Gritti, F. 177. (10) Disp. Cost., F. 133 bis. (11) Poiché l’affitto è indicato dai documenti in 200 reali, risulterebbe che uno zecchino corrispondeva in quest’epoca a due reali, ma questo potrebbe essere stato un calcolo convenzionale nei rapporti contabili fra il bailo e la repubblica, perchè da altri documenti si rileva che, tanto nel 1633 che nel 1672, uno zecchino valeva reali 2 y2. Questo cambio di reali 2% Per zecchino fu poi fissato con delib. 16 giugno 1677. Il calcolo in reali, anziché, come avveniva prima, in aspri (il valore dei quali subiva continue alterazioni, tanto che lo zecchino era passato da 60 aspri a 120 e più), era stato per la prima volta stabilito per alcune spese del bailaggio con delib. 12 marzo 1639. Dai dispacci appare inoltre che reali, leoni e piastre erano monete che allora si equivalevano. (12) Disp. Cost., F. 133 bis, documento senza firma e data ma, come risulta dal testo, del Soranzo e posteriore al 12 dicembre 1650, data della lettera del Sai vago. (13) Delib. 15 aprile 1651. (14) Delib. 17 giugno 1651. (15) Disp. 24 luglio 1660, n. 337-40, F. 144. (16) Disp. Molin 17 luglio 1670, n. 93, F. 154. (17) Questo Stefano avrebbe dovuto chiamarsi Saivago, ma, secondo una informazione conservata nell’archivio della famiglia Testa a Costantinopoli, (in base alla quale Francesco Testa, che a noi consta essere stato genero della Saivago, avrebbe sposato Maria Fortis), sembra si chiamasse Fortis: se così fosse, risulterebbe che la vedova continuava ad essere conosciuta col suo cognome di fanciulla. 23I