ceux de France, d’Angleterre et de Venise qui, par leurs positions, l’élégance, la solidité et les vastes dépendances qui les entourent, joignent les avantages de l’Europe civilisée à ceux du site le plus heureux et de la contrée la plus curieuse, avec laquelle, d’ailleurs, ils forment un contraste facile à pres-sentir » (30). L’occupazione francese del palazzo si mantenne finché durò la potenza napoleonica : col cessare di questa, la Francia dovette rinunziare, nel trattato di Parigi del 30 maggio 1814, anche a tutti gli antichi possedimenti veneziani, che venivano poco dopo attribuiti all’Austria nel trattato di Vienna del 9 giugno 1815. L’edificio tornava perciò nuovamente sotto il dominio austriaco, ridivenendo la sede della rappresentanza austriaca a Costantinopoli e continuando così per circa un secolo a costituire, come era stato per tanto volgere di anni sotto la repubblica, un centro importante d’attività diplomatica in Oriente. Nonostante le insistenze della corte di Vienna e dell’internunzio, che era ancora il barone Stürmer, ed il fatto che il palazzo di Roma era stato ceduto all’Austria fin dal 30 luglio 1814 (31), la consegna effettiva tardò ad avvenire perchè l’incaricato d’affari francese Devai desiderava attendere l’arrivo del nuovo ambasciatore, marchese di Rivière. Questi giunse a Costantinopoli sul principio del giugno 1816, e la consegna dell’edificio e degli archivi veneziani ebbe luogo poche settimane dopo. Prima ancora di essa, lo Stürmer aveva fatto approntare un progetto di restauro, dato che il palazzo, ed ancor più le sue dipendenze, già bisognose di riparazioni al tempo del bailo Vendramin, erano state assai trascurate nei dieci anni dell’occupazione francese. I lavori proposti importavano ima spesa di 60.000 piastre, corrispondenti a 10.000 talleri « colonnati », cui si aggiunsero altre 10.000 piastre circa, e furono autorizzati dal governo di Vienna. Due piante topografiche, che pubblichiamo (figg. 170-171), fatte eseguire dallo Stürmer rispettivamente nel 1816 e nel 1817 e dovute all’italiano Peverada, architetto dell’ambasciata di Francia, ci mostrano l’antica proprietà veneziana prima e dopo questi lavori, e ci confermano che essa corrispondeva, sia nell’insieme che in quasi tutti i particolari, alle descrizioni lasciateci dagli ultimi baili veneti (32). Un viaggiatore tedesco che fu a Costantinopoli a due riprese, nel 1824 e 1825, menziona anch’egli tra i migliori palazzi di Pera quello già di Venezia, nel quale abitò come ospite dell’ internunzio, barone di Ottenfels i33). Dopo essere sfuggito a vari grandi incendi, che distrussero tutte le altre residenze diplomatiche di Pera, (come per es. a quello dell’agosto 1831 che incenerì fra l’altro le ambasciate d’Inghilterra e di Francia), tanto che il cappellano inglese Walsh osservava che l’edificio sembrava possedere una 362