far entrare il figlio Stefano al servizio del bailaggio (l2). In questa occasione, come successivamente per l’acquisto del palazzo, si ebbe ricorso ad un prestanome sia per evitare che gli abitanti turchi del quartiere, i quali vedevano malvolentieri la vendita di proprietà a stranieri, provocassero difficoltà come avevano già fatto in altra occasione (13), sia per ottenere nel prezzo d’acquisto condizioni più vantaggiose trattandosi di un acquirente privato invece che dell’ambasciatore. Però con atto redatto nella cancelleria del bailaggio (v. Appendice, doc. n. 2) il Testa dichiarava che l’acquisto era avvenuto con fondi e per conto della repubblica (14). La zona acquistata dal Soranzo, che questi fece chiudere poi nel recinto del bailaggio, fa parte ancor oggi della proprietà del palazzo del quale costituisce una dipendenza: essa è posta a destra dell’ingresso principale ed è adibita a vari servizi. Lavori importanti furono eseguiti per cura del bailo Alvise Mocenigo nel 1710: « con questa occasione — egli scrive — ho creduto bene di rimetter le stanze con qualche maggior commodo e nel tempo stesso renderle più grandiose per decoro di questa Rappresentanza » (15). 11 nuovo bailo Andrea Memmo segnalava però, poco dopo il suo arrivo, il pessimo stato nel quale si trovavano alcune parti del palazzo, che egli tentava di far riparare <16). Il bailaggio doveva però rimanere ancora una volta abbandonato dal 1715 al 1719, durante l’ultima guerra turco-veneta. Il Memmo non aveva mancato di segnalare gli armamenti turchi e di avvertire del pericolo che minacciava i possedimenti veneziani, specialmente la Morea. L’ 8 dicembre 1714 il gran visir, dopo aver fatto condurre davanti a sè con modi violenti il bailo ed aver rinfacciato a questi, che le ribatteva con fermezza, le varie accuse destinate a servire come pretesto alla Porta per dichiarare la guerra alla repubblica, assegnò al Memmo un termine di venti giorni per lasciare il territorio ottomano. Il bailo non fu però lasciato ritornare al palazzo, ma fu condotto, con alcuni famigliari, in una casa privata, situata presso Tophanè, ed ivi trattenuto sotto la sorveglianza di giannizzeri. L’ordine di partenza fu poco dopo revocato ed il Memmo fu tenuto in ostaggio per essere trattato come lo sarebbero stati i sudditi turchi che si trovavano in Dalmazia. Intanto alcuni giannizzeri assalivano e saccheggiavano il palazzo bailaggio, dal quale il Memmo non riusciva a far ricuperare che « un amasso di tavole rotte ». Il bailo, che desiderava rimanere nella capitale nemica per potere all’oc-correnza esser utile alla patria in eventuali contatti e trattative con la Porta, chiese invano di poter tornare nel bailaggio 0 scegliersi una casa a Galata. Custodito invece a Tophanè fino al 7 marzo 1715, il Memmo fu poi improvvisamente fatto allontanare da Costantinopoli ed internato nel castello di 258