Anche nel corso della loro missione i baili erano spesso obbligati a fare dei regali, e questa era una delle cause per cui si trovavano talvolta in difficoltà finanziarie. « Chi voi aver ben in quelli paesi bisogna donar», nota il Sanuto (XXIII, 286): osservazione questa che, come vedremo, ricorrerà spesso nelle relazioni degli inviati veneti anche nelle epoche successive. Sultano e pascià inoltre pregavano spesso i baili di procurare loro determinati oggetti. Al bailo Tommaso Contarini nel 1519 il sultano chiese due cani gentili pelosi e due levrieri da caccia. 11 « defterdar » (tesoriere) domandò allo Zen nel 1532 dei panni di Londra e degli occhiali, e lo Zen gliene offrì un paio di cristallo, montati in argento, in un astuccio ben lavorato, ciò che fu considerato un grande dono. Altra volta si tratta di un bellissimo scacchiere, o di un mappamondo, o di vini, ecc. Anche il sultano offriva dei doni agli ambasciatori e baili al momento della loro partenza. Nel 1527 Marco Minio ricevette due vesti intessute d’oro, aspri per il valore di cento ducati ed un cavallo. I doni ricevuti dagli inviati veneti dovevano, per antichissima deliberazione, essere consegnati allo stato, sebbene gli inviati pregassero spesso che fossero loro rilasciati a parziale compenso delle spese sostenute per compiere degnamente la loro missione. Il Minio chiese invece nella suddetta occasione che una delle due vesti da lui ricevute fosse data alla parrocchia di S. Tomà, alla quale apparteneva, perchè ne fosse fatto un piviale o paramento d’altare in sua memoria, ed il senato acconsentì (Sanuto, XLVI, 177; Alberi, III, 117 n.). Anche Tommaso Mocenigo e Pietro Zen chiesero eguale concessione a favore delle rispettive parrocchie al ritorno dalle loro missioni nel 1530. Tuttavia in tale occasione fu proposto che « essendo solito che le caxache, vien donate dal serenissimo Signor turco a li oratori et bavli nostri, siano date al suo ritorno a la chiesia del protetor nostro missier San Marco, per far di paramenti, piviali et altro, perhò sia preso che non si possi dar più simel casache ad alcuno altro loco, salvo a la chiesia di S. Marco », a meno di una votazione da farsi in forma e condizioni speciali, ivi determinate (Sanuto, LIV, 131). (55) In altra occasione vediamo un personaggio del serraglio mandargli a leggere una lettera inviata dall’eunuco che si trovava al campo col sultano (Sanuto, LVI, 825). (56) Anche pochi anni prima, nel 1527, l’ambasciatore Marco Minio aveva riferito che i veneziani erano allora molto ben visti a Costantinopoli: «se va per nostri la note -— rileva nella sua relazione — fazando matinate per Costantinopoli, cosa insolita » (Sanuto, XLVI, 175 segg. ; Albert, IIT, 115). (57) La repubblica era molto severa nel controllo delle spese dei baili e le sottoponeva all’accurato esame dei revisori dei conti: cosicché troviamo spesso i baili in difficoltà, perchè si facevano imprestare somme a Costantinopoli, emettendo tratte su Venezia che spesso erano pagate con ritardo e talvolta non erano pagate affatto, se le spese non erano ritenute del tutto legittime e regolari. (58) ]\re] panorama di Costantinopoli del Lorichs, del 1559, si vede tra l’altro nel Corno d’Oro una grande imbarcazione coll' indicazione « Venedischer Balyo oder Venediger Botschafft » (cfr. E. Oberhummer, Konst. unter Sultán Suleiman dem Grossen, aufgenommcn im Jahre 1559 durch Melchior Lorichs aus Flensburg, Monaco, 1902, tav. IV: v. la nostra fig. 21). (69) Sanuto, LVII, 348. In occasione di feste il rappresentante veneto ed i mercanti organizzavano regate nel Corno d’Oro, corse al palio davanti alla residenza del bailo ed alberi di cuccagna, come vediamo ricordato anche in altre epoche (cfr. Hans Dernschwam's Tagebuch einer Reise nach Konst., 1553-55, ed. E. Babinger, Monaco e Lipsia, 1923, p. 95). (60) Lo Zen narra poi che non avendo mai veduto, nonostante il lungo tempo trascorso a Costantinopoli, il famoso « bezestan », deliberò in quell’epoca di andarlo a visitare. Nelle botteghe di esso e nelle vicinanze erano allora raccolte le maggiori ricchezze di Costantinopoli: l’antico « bezestan » esiste tuttora entro il grande bazar e costituisce, col bazar stesso, uno dei luoghi più pittoreschi e frequentati di Stambul. Lo Zen si recò in seguito a vedere il curioso caso occorso al palazzo di Bucoleone, situato sul mare, presso l’ippodromo. In esso «sotto quelle tre fenestre antiquissime che hanno uno lione per banda » si vedeva ancora in quell’epoca, su una lastra di marmo poggiata su due colonne, un’antica e famosa opera d’arte rappresentante un leone che « in uno gaiardissimo atto » atterrava un toro. « Questi animali — racconta lo Zen — soleano esser con le teste voltate verso Anatolia, et par che quella medema notte i se voltasseno con le teste verso Costantinopoli. 11 che la mattina veduto, tutta questa terra lì è concorsa et ha fatto stupir e stornir tutta questa terra, et ogniuno va disco-rendo secondo le passione dell’animo suo, stante una cometa aparsa per molte notte » (Sanuto, LVII, 346 segg.). Questo palazzo si vede ancora, ma è scomparso il gruppo del toro e del leone; 75