con guasto e perdita di merci infinite, non ancora in gran parte sottratte alle ruvine, e tra questi il così detto Visir Kan, il più vasto di tutti, i di cui grandi archi, che lo coprivano, sono in gran parte o caduti o essentialmente danneggiati. Anche una delle Sette Torri è crollata, e le altre sei che rimangono in piedi sono grandemente tocche e bisognose d’essere riparate. La mortalità in questo gravissimo evento non fu grande, nè si conta giongere che circa alle ottocento persone, e questo si può dire un benefizio dell’ora in cui nacque la prima scossa, non per anco, sebben di poco, idonea agli affari. « Nelle franche contrade di Galata e Pera, o picciolo avvenne o nissun danno. In Galata qualche pietra cadde della antica sua torre, e soffrì qualche crepatura taluno dei magazzini a foco che colà esistono, e in questa contrada di Pera qualche cosa si scosse nelle case tutte di legno, ma con poco danno, e in questo publico palazzo, nè in questa confusa allora e spaventata famiglia, nulla di male, grazie a Dio, avvenne se non che, fatta la casa esaminare, qualche piegatura si trovò non dapprima osservata nella scala maestra di pietra, che quale riflesso meriti saprò esattamente dire a V. V. E. E. nell’ ordinario venturo. Il fatto è che questo flagello, che si calcola possa costare per ripararne i danni e rimetter le cose nello stato di prima circa quatordici millioni di piastre, ha gravemente colpito nell’ animo ed affitto questo Monarca, e reso questo popolo più tumultuante, più acerbo e desideroso di novità, che gli produca uno stato meno misero e bisognoso. Di sollevazione apertamente si parla, e in timore il Monarca radoppia tutte le guardie, non si permette tampoco, senza scioglierla sul fatto, la unione in secreto colloquio di tre persone. Ciò che abbatte gli animi più di tutto sono in questa nazione superstiziosa due circostanze, dalle quali si tragge pessimo augurio al buon andamento dell’avvenire: l’uria che il flagello sia nato nel terzo giorno del piciolo Bajram, l’altra che la rovina sia principalmente caduta sopra le moschee del conquistatore » t63). Tra gli incendi, incubo perenne degli abitanti di Costantinopoli, alcuni tra quelli ricordati dai baili si verificavano per cause varie nel palazzo stesso, mentre altri scoppiavano a Stambul od a Pera e, favoriti dalle costruzioni in legno abituali nel paese, causavano vaste distruzioni. Uno dei più gravi tra gli incendi occorsi a Pera appare quello avvenuto nella notte del 26 settembre 1767 : « sorto senza sapersi l’origine — riferì il bailo — in una casa dirimpetto alla discesa che conduce a questo Palazzo, si stese rapidamente dall’una e dall’altra parte di Pera e incenerì totalmente li Palazzi del Ministro di Napoli, del Ressidente di Russia e dell’Ambasciatore d’Ollanda, il Convento e la Chiesa di S. Maria con trenta e più case frapposte, tra le quali quelle de poveri veneti dragomani Massellini, Pini e Calavrò, e ha resa la 288