scritto, ” Io sono amico della Signoria, ma essa non mi conosce, e mi conoscerà quando mi perderà ,, è un tacito domandare, oltre le palesi richieste ». Daniele Barbarigo, parlando nel 1564 del potente primo visir Ali pascià, dichiara: «E s’io non me l’avessi intertenuto con presenti, e non di molta valuta, come fu un par di cani fatti venire a posta di ponente, e che sua magnificenza li mandò a donar al Gran-Signore, che gli furono carissimi, e un facciol ricamato d’oro per coprir il suo turbante, e altre gentilezze, ora una or l’altra, per far che sua signoria si ricordasse delli negozj di vostra serenità, avrei potuto far niente. E quel-l’avermi detto molte volte: "io ti sono amico e non mi conosci,, è un dimandar tacitamente ». Antonio Tiepolo, nel 1576, ricorda l’opportunità di intrattenere con qualche dono anche «il cancelliere grande, quello cioè che scrive i comandamenti, e quello che segna col segno del Gran-Signore ; perchè e l’uno e l’altro ponno metter impedimento, non scrivendo o non segnando, benché l’abbia comandato il pascià». Lorenzo Bernardo, nel 1592, consiglia tra l’altro di coltivare l'amicizia di una donna che era protetta dalla sultana e governava le giovani del serraglio, com’egli aveva fatto durante il suo bailaggio pel tramite della nota Ester Chiera: « poiché ho veduto in questi mesi, che son stato a quella Porta, aver per miei dragomanni tentato una e due volte di liberar le sete di alcuni mercadanti fatte bollare dal magnifico primo vizir presente, e non averlo potuto ottenere, mentre con una polizetta scritta da quella donna sono state subito liberate senza alcuna replica. Però lauderei il trattenerla in qualche maniera ben affetta verso questo serenissimo dominio ». Lo stesso Bernardo nota che la casa del bailo era frequentata ordinariamente da molte persone che aspiravano a donativi, come le api attorno al miele, ed aggiunge che « la prudenza del bailo bisogna che da un canto non disperi quelli che possono per più vie giovar alla cosa, o con portar nove o con qualche favore ; ma dall’altro che faccia una trincea davanti alli altri, levando loro la speranza de’ donativi, perchè altrimente la sua casa avria più avviamento di una bottega sopra il ponte di Rialto ». Il Bernardo osserva anche che il donare doveva essere « come la medicina la qual data in tempo, giova, ma data fuori di tempo può ammazzar l'invalido », ossia recar danno al donatore col farlo ritenere debole e timido. Matteo Zane, parlando del Cicala, il rinnegato italiano che comandava la flotta turca, nota nel 1594: «sarà sicuro consiglio che li ministri della Serenità Vostra non manchino, secondo l’ordinario, di trattenersi con esso Cicala dissimulatamente, procurando di non gli dar mala soddisfazione, anzi compiacerlo delle sue frequenti dimande di veste, confetture ed altro ; nè in mio tempo è mai passata settimana ch’egli non abbia ricercato da me qualche cosa, ed io mi son valso della libertà datami dalla Serenità Vostra, nel principio del bailaggio, di donargli in più volte pel valor di 500 zecchini ; e quando egli si fosse astenuto dal dimandare ne avrei fatto cattivo giudizio. Mi costava ben l’amicizia di un inglese eunuco, il più favorito giovane che fosse appresso di lui, che morì ultimamente, ed io ricorsi subito all’amicizia di un altro eunuco pur suo favorito ». Lo stesso Zane ricorda poi che per tenersi amico Sciaus pascià « la Serenità Vostra trattiene già alquanti anni il dottor Benvenisti, ebreo, con una grossa provvisione per esser egli favorito servitore di questo bassà, col quale vorrei che avesse tanta autorità quanto ha buona volontà verso le cose nostre ». Nello stesso modo i baili si procuravano altri informatori, come quelli cui accenna Paolo Contarini nel 1583: « in pochi giorni, con l’aiuto di Sua Divina Maestà, m’acquistai un soggetto principalissimo nel serraglio del Gran Signor, che di giorno in giorno m’avvisava quello che si diceva e ragionava di dentro. Un altro ne avevo in casa del magnifico primo visir, e uno in casa del secondo, ambi favoritissimi dalle loro Magnificenze » (Alberi, I, 92; II, 30, 189, 360, 399, 406 seg. ; III, 214, 419, 426). (70) Di questa teoria si facevano solenni campioni, quasi con le stesse parole, Marino Cavalli nel 1560 e Lorenzo Bernardo nel 1587 e nel 1592. A sua volta Marcantonio Barbaro notava nel 1573 che « il negoziato con li turchi era simile a chi giocava con una palla di vetro, che quando il compagno la manda con forza non bisogna violentemente ribatterla e nemmeno lasciarla cadere in terra, perchè nell’uno e nell’altro modo si viene a romperla ». Ma lo stesso Barbaro disprezzava il modo di procedere basso e timoroso : « E voglio pur dire — egli osserva — che nei tanti mesi del mio bailato, il pascià una sol volta ch’egli si volle in un’udienza ritirare da quanto in un certo negozio mi aveva promesso, io allora partendomi con segno di non poca alterazione, e facendo col dragomanno grandi risentimenti, mi trovai talmente avvantaggiato che il pascià mi richiamò, e con molte parole grate si escusò, dandomi ogni soddisfazione, così in quella come in tutte le altre cose che io ho avuto a trattar seco. Che se allora io non fossi proceduto in quel modo, avrebbe dappoi conosciuto la Serenità Vostra con quanto disavvantaggio ed indignità io avrei trattato li negozj suoi » (Alberi, I, 286 seg., 340 seg. ; II, 402 segg.). 134