Succedette un altro ballo delle donne perote, dopo il quale vennero serviti dei dolciumi. Ripreso lo spettacolo, si presentò un ambasciatore del re del Portogallo, accompagnato da un gigante che teneva due saraceni in catena, e neli’esporre la sua ambasciata disse che il re mandava quel gigante con i due saraceni dall’isola di Taprobana (Ceylon) (49). Seguirono poi alcuni cavalieri che incominciarono a giostrare e ruppero tutte le lance: col finire della giostra terminò la festa circa un’ora e mezza avanti il giorno. L’ambasciatore veneto fu onoratamente accompagnato sino alla porta della sala da tutti i compagni, dal capo della festa e dal bailo fiorentino, e poi dai compagni, con torce accese, fino alla casa di Alvise Gritti, ove si riposò un poco. Sicché, commenta il figlio dello Zen, questa festa avrebbe bastato anche se fosse stato presente il sommo pontefice e si fosse trattato di una nobile città come Venezia ; essa, aggiunge, fu lodata da tutti come avvenimento non mai visto da quelle parti, mentre regnava una grande aspettativa di ciò che avrebbero fatto i veneziani e si osservava che dimostravano ben grande coraggio i tredici compagni veneziani nel voler contrapporsi a tutti i fiorentini. La domenica di carnevale ebbe luogo la festa dei mercanti veneziani e, poiché i fiorentini avevano preparato una decorazione su sfondo d’oro, essi vollero variare facendo una decorazione al modo antico, come avveniva a Venezia quando si adornava una chiesa, con festoni ed intagli che furono molto ammirati. Signore della festa fu eletto Alvise Gritti. Sebbene l’ambasciatore fosse ancora stanco per essere stato pochi giorni prima tutta la notte senza dormire, pure non volle rifiutare l’invito che gli venne fatto dal Gritti. E così, levato di casa da tutti i compagni veneziani, con numerosi servitori e molte torce, si diresse al luogo preparato, passando dinnanzi alla casa del bailo fiorentino che, accompagnato da tutti i suoi connazionali, si unì a loro assieme a molti gentiluomini peroti: alla festa assistevano anche più di cento donne perote e molte donne turche. Fattosi nella sala un grande silenzio, fu dato principio al trattenimento con una commedia che trattava di Psiche e di Cupido, la quale fu recitata dai compagni con grande maestria. Alla commedia, durata due ore, seguì un ballo delle donne perote che durò circa un’ora. Poi le donne turche incominciarono a suonare, cantare e ballare con i modi e le grazie che avevano mostrato nella festa dei fiorentini: ballarono poi nuovamente le donne di Pera. Essendo già trascorsa di molto la mezzanotte, furono apparecchiate le mense e venne offerta una ricca cena a più di trecento persone « tutta in arzenti, et fu miracolo che un sol piron [forchetta] se perdette ». Dopo un nuovo ballo delle donne turche, fu servito un rinfresco con preziosi vini da cinquanta servitori, in vassoi d’argento. « Et così de canti in balli — conclude il figlio dello Zen — de dolceza in dolzeza, il sol spontò con li soi raggii mò che di ’1 teatro 52