d’una volta personalmente scoperta — saggiunge il Morosini — quando, sostenendo le pubbliche ragioni e servizio, s’accendeva l’impeto feroce d’esso ministro supremo, e che con desterità e pacatezza convenivo rimetterlo nella prima calma, a fine di non lasciarlo amaramente impresso contro il veneto nome e rappresentanza ». Ma proprio mentre stava per ritornare a Venezia, all’inizio del 1680, egli ed il successore Pietro Civran vennero coinvolti in una serie di gravissimi incidenti. Il primo di questi fu originato dall’accusa che mercanti veneziani, giunti a Costantinopoli col Civran, avessero approfittato dell’ingresso in franchigia degli oggetti appartenenti al nuovo bailo per far entrare, in frode alla dogana, delle loro merci, ricorrendo anche a violenze contro i doganieri turchi. L’incidente diede luogo a molte agitazioni che compresero un breve arresto del dragomanno Tommaso Tarsia, il diniego del consueto solenne ingresso al Civran, l’interdizione al Morosini di partire, la proibizione di carico e scarico per le navi mercantili veneziane che si trovavano in porto ed altri ostacoli posti al normale svolgimento del traffico della colonia veneziana. Esso fu infine appianato col pagamento di 40 borse (97), ossia 20.000 reali, versati dalle persone coinvolte nell’accusa, senza diretto aggravio per l’erario veneto. Dopo di ciò fu permessa e si svolse solennemente la tradizionale cerimonia del pubblico ingresso del nuovo bailo Civran. Ma un nuovo e più grave incidente scoppiò pochi giorni dopo. Ufficiali e marinai delle due navi da guerra veneziane, che avevano condotto a Costantinopoli il Civran, accolsero a bordo numerosi schiavi per condurli in libertà: 58 furono ricoverati sulla nave « Costanza Guerriera », e 27 sull’altra chiamata « Venere Armata ». Ciò era contrario alle capitolazioni, contravveniva a rigorosi divieti del bailo ed era considerato in Turchia delitto gravissimo. Diffusosi il sospetto che gli schiavi si trovassero sulle navi venete, i turchi che ne avevano constatata la mancanza si sollevarono contro i baili, tumultuando davanti alla loro casa ed invocando l’intervento del visir contro i colpevoli della sottrazione. L’occasione si presentava eccellente a Karà Mustafà ed ai suoi accoliti per procedere ad una di quelle formidabili estorsioni per le quali erano famosi. Fu perciò ordinata una perquisizione a bordo delle due navi da guerra, provvedimento gravissimo per il prestigio della repubblica e mai prima occorso, ma che fu dovuto accettare dai baili. La visita ad una delle navi non diede alcun risultato ma sull’altra fu scoperto, nascosto sotto le gomene, uno schiavo napoletano del quale i turchi si impadronirono. Marinai e soldati della nave si sollevarono però contro di essi, strappando loro lo schiavo ed obbligandoli ad allontanarsi. I baili furono allora energicamente richiesti dal visir di far consegnare lo schiavo scoperto, ciò che essi dovettero adattarsi a fare, non senza però avergli prima fatto promettere di non rivelar la presenza degli