Anche il Morosini ricorda nella sua relazione il decesso per peste di Iseppo Fieschi, che era stato il suo ragionato: tale incidente era accaduto nel 1678 (B. B., II, 246). (43) Circa gli incendi, il Magni nota che per ovviare ad essi « costumano girar la notte certe guardie, con grossi bastoni ferrati in mano, co’ quali percotendo le muraglie delle case avvisano che ogn’uno abbi cura al fuoco» (I, 257 seg.) : queste guardie, dette « bekgì », sono state abolite solo pochi anni or sono. Un’antica miniatura rappresentante un guardiano notturno è contenuta nel codice relativo alle Fogge diverse del vestire dei Turchi conservato nella Bibl. Marciana (cl. IV it., n. 491). (44) Venezia, Museo Civ., Mise. Correr n. 2646, c. 31. La festa sopra descritta ebbe luogo il 25 aprile 1749. Il Venier, sopra nominato, era il bailo uscente. Sul restauro della cappella, fatto eseguire dal Da Lezze, cfr. cap. V, n. 55. Sulla celebrazione della festa di S. Marco nel bailaggio, cfr. anche P. Businei.lo, Historische Nachrichten von der Regierungsart, den Sitten und Gewohnheiten der osmanischen Monarchie, Lipsia, 1778, p. 199. (45) Così fa A. Nani nel suo dispaccio del 25 settembre 1600 pubbl. in B. B., I, 23; cfr. anche la relazione di P. Foscarini in B. B., II, 108. (46) Nelle relazioni dei baili ed ancor più nei racconti dei viaggiatori troviamo spesso notate delle particolarità della vita turca che esistono tuttora e che sono famigliari ai visitatori del Levante. Il Della Valle descrive per es. certo « latte agro », che è il « yoghurt », o il teatro popolare turco di « karagòz », od i dervisci giranti, che fino a pochi anni or sono potevano vedersi anche nella loro sede di Pera ; altri fanno cenno del « surmè », che serviva in passato, come ora, a colorire in nero gli occhi delle signore. Una menzione speciale va fatta del caffè. Il primo scrittore italiano che, secondo il Lazari, ne fa parola è il bailo Gianfrancesco Morosini nella sua relazione del 1585: « Quasi di continuo stanno a sedere, — egli dice parlando dei turchi — e per trattenimento usano di bere pubblicamente, così nelle botteghe come anco per le strade, non solo uomini bassi ma ancora de’ più principali, un’acqua negra bollente quanto possono sofferire, che si cava d’una semente che chiaman Caveè, la quale dicono che ha virtù di far stare l’uomo svegliato ». Questa bevanda riusciva nuova anche al Della Valle nel 1615, che si sofferma a descrivere il modo per farla ma osserva: «Non sa quasi di niente, ed in che consista il gusto non so». Nel 1633 il sultano aveva bandito l’uso del tabacco e fatto chiudere le taverne nelle quali si vendeva il vino e tutti i ridotti ove si beveva il caffè, i cui frequentatori non mancavano « di dir molte volte male del governo, di mormorare delli Ministri, et anco del medesimo Gransignore» (cfr. Della Valle, p. 48, 51, 73, 74 seg.; B. B., I, 129, 336; Magni, I, 260; Alberi, III, 268; / caffè a Cost. nel 1633, in « Arch. Ven. », Nuova Serie, a. XIII, T. XXV, parte II, Venezia, 1883, p. 414). Fin dal ’500 sono poi menzionate nelle relazioni europee le Acque Dolci d’Europa, più raramente quelle d’Asia, che erano mèta di passeggiate da parte di turchi specialmente in estate, ma, ad eccezione di brevi periodi di rinomanza per il capriccio di qualche sultano, non sembra che tali luoghi abbiano goduto in passato di quella popolarità che godettero nella seconda metà del secolo scorso e che ora è nuovamente scomparsa. Molti viaggiatori ricordano anche i cannoni presi al nemico che, come trofei di vittoria, venivano esibiti fin dal sec; XVI a Tophanè. (47) Il patrizio romano Della Valle si era recato in Levante per compiere il pellegrinaggio di Gerusalemme allo scopo di guarire da una disillusione sentimentale. Nel viaggio egli cercava l'oblio ma insieme anche la gloria che avrebbe potuto derivargli dalle sue visite a paesi strani e lontani che sono descritti nelle sue lettere spigliate e vivacissime. Partito da Venezia, e dopo toccata Costantinopoli, egli visitò l’Egitto, la Palestina, la Mesopotamia, la Persia e l’india. L’oblio che cercava fu pienamente raggiunto tanto che a Bagdad s’innamorò di una fanciulla cristiana del paese, Maani Gioerida o la signora Maani com’egli sempre la chiama, che sposò ma che gli morì pochi anni dopo nel soggiorno in Persia. L’innamorato pellegrino non volle abbandonare in terra d’infedeli il corpo della giovane sposa, ma lo portò con sè per più di tre anni attraverso l’india fino a Roma — ove fu seppellito nel sepolcro di famiglia, nella chiesa di Aracoeli — con gesto di romantica devozione che ci appare ancor oggi favoloso. Egli si trovò a Costantinopoli dalla fine del 1614 alla fine del 1615, ospite dell’ambasciatore di Francia barone di Sancy, e prese parte alle cerimonie dell’ingresso del bailo Nani e della visita di questi al sultano. (4S) Benetti-Pazzaglia, II, 96 segg. L'arrivo a Costantinopoli del Donà ed il successivo suo ingresso solenne sono narrati anche dal bailo nei suoi disp. 16 luglio e 15 settembre 1681, n. 14 237