primi lavori, la necessità di un restauro più completo e, nell’inviare una nuova perizia, chiese ulteriori 4250 reali, ciò che portava la spesa generale a 7000 reali, ossia quasi alla somma suggerita nel primo preventivo. Nel 1772 egli eseguì infatti i lavori, sia al palazzo che ad alcune costruzioni poste nel recinto del bailaggio, in base a quest’ultima somma, che anticipò in parte, chiedendone poi il rimborso al senato t68). Una lapide, che si conserva tuttora nel palazzo (fig. 145), ricorda il restauro compiuto dal Renier, il quale pochi anni dopo doveva essere eletto doge e lasciare imperitura traccia del suo principato in importanti opere pubbliche a Venezia: mentre egli era doge ebbe anche luogo la spedizione di Angelo Emo contro i pirati tunisini (69). Il restauro del Renier aveva toccato solo superficialmente l’edificio (70) che pochi anni dopo, all’epoca del bailo Andrea Memmo, si trovava di nuovo in precarie condizioni (71). Il Memmo — nipote del bailo dello stesso nome che abbiamo visto a Costantinopoli sul principio del secolo, e figura assai nota nel Settecento veneziano come quella di un patrizio intelligente, spregiudicato, gaudente e libertino (72) — appare inconscio del fascino emanante dalla lunga storia del palazzo, e si mostra invece molto sensibile agli svantaggi che questo poteva presentare a causa della sua posizione sul pendio della collina di Pera, in luogo che egli dichiara ristretto, scomodo e malsano. Egli avrebbe preferito, invece di restaurare nuovamente il bailaggio, abbandonare l’antica sede dei rappresentanti veneti e trasportarsi sulle Quattro Strade, la principale arteria di Pera al sommo della collina, lungo la quale si erano andati raggruppando quasi tutti i rappresentanti stranieri a Costantinopoli. Senza avere ottenuto speciale autorizzazione dal senato su questo punto, ma pur tenendo informata la repubblica, egli s’industriò di effettuare tale disegno ed iniziò segrete trattative e fece eseguire perizie per una eventuale vendita del palazzo. Due occasioni gli si presentarono: la vendita al patriarca armeno, che però poneva come condizione di poter continuare a servirsi della cappella esistente nel palazzo, ciò che non sembra sia stato permesso dalla Porta, e la vendita allo stesso sultano, che aveva fatto costruire a Pera un ospedale e voleva assicurare ad esso rendite di case e terreni, ma risultò che il terreno del bailaggio mal si prestava alle intenzioni del Gran Signore (73). 293