tivan per modo che non sanno fra tante loro angustie desiderare mutazione di governo, se per avventura non scontrasse loro qualche occasione, che non veggo qual possi essere, che principe del rito loro tentasse di travagliare Turchi, nel qual caso tengo per fermo che si alzerebbero tutti» (B. B„ I, 164). (n6) L’ambasciatore francese De la Vigne, in una lettera da Adrianopoli dell’8 febbraio 1557, scrive: « Le jour mesme de mon arrivée, je commençay à dresser et mettre en italien mes mémoires, affin de les proposer le plus tost qu’il me seroit possible au G. S. et sçavoir là-dessus son intention » (Charrière, II, 376). Gli ambasciatori imperiali adoperano il latino e l’italiano, che veniva poi tradotto in turco dal dragomanno, per parlare col pascià nel 1567 (Itinerario Pigafetta, già cit., p. 98). Il marchese di Nointel scrive al gran visir in italiano nel 1672 (Galland, I, 66, 147). Sir John Finch redige pure in italiano i suoi discorsi per la visita al «kaimacam» nel 1674 ed al sultano nel 1675 (Abbott, op. cit., p. 21, 145). In italiano fu redatto il trattato di Kucyuk Kainargi fra la Turchia e la Russia nel 1774. Tali esempi si potrebbero facilmente moltiplicare. Il Finch, che aborriva il soggiorno a Costantinopoli, conosceva ed amava l'Italia ove era stato a lungo come studente di medicina all’università di Padova, professore di anatomia all’università di Pisa e ministro d’Inghilterra a Firenze dal 1665 al 1670. Egli intrattenne ottimi rapporti con i baili. (117) I, 102. Alcuni viaggiatori notano nel 1630, a proposito della chiesa di S. Francesco di Galata: « pendant le Carême on y prêche journellement en Italien, qui est le langage ordinaire de ceux du Ponant en Turquie » (Fermanel, Fauvel, De Launay e De Stochove, Le voyage d’Italie et du Levant, già cit.). Circa due secoli dopo, sul principio dell’Ottocento, il cappellano inglese Walsh fa la stessa osservazione: «The only language of Western Europe spoken by thè natives of Turkey is Italian » (R. Walsh, Narrative of a journey front Const. to England, Londra, 1829, p. 119). (n8) Galland, II, 217. L’ambasciatore inglese Sir Thomas Roe rilevava la difficoltà di acquistare in Levante oggetti antichi, « all above ground being gone to Venice ». 11 Roe ricercava le antichità, che, com’egli osservava, «carry in them a shadow of eternitye», per sé e per conto del duca di Buckingham ; Lord Arundell aveva pure inviato per lo stesso scopo persona apposita in Oriente. Il Roe aveva perfino posto l’occhio sulle sculture antiche che decoravano ancora la Porta d’Oro al castello delle Sette Torri (cfr. The negotiations of Sir Thomas Roe, 1621-1628, Londra, 1740, p. 583, 647 e passim). (1W) Anche Pietro Della Valle non mancava di mettere assieme la sua collezione: «Oggi ho comprato trenta medaglie antiche di metallo, — egli scrive il 4 settembre 1615 — oltre certe altre poche che ne aveva già, parte di metallo e parte d’oro e d’argento. Non so se saranno cosa buona, chè non m’intendo troppo del mestiere: ma io adesso qui fo d’ogni erba fascio, riserbandomi a far poi le scelte in Italia con le debite consulte degli uomini intendenti » (p. 148). Il Magni menziona tra i collezionisti il segretario dell’ambasciata inglese, del quale scrive: « Il segretario di quest’Ambasciata addimandasi Signor Numen, che ha soggiornato lungo tempo in Aleppo trafficante, benché il suo genio sia tutto dedito alle lettere, e veramente in esse passa per persona versatissima ; oggi s’impiega a tutto suo potere nella ricerca di medaglie, iscrizioni e altre antichità, avendone fatta una sua buona raccolta, e è opinione di molti ch’abbi preparato qualche trattato sopra simile materia, essendo di buon gusto e profonda perspicacia: il suo genio malinconico lo consiglia alla ritiratezza, in cui gode raccogliere memorie per distenderle poi a suo commodo: si diletta assai di poesia in ogni lingua, come d’istorie e altre utili letture; si che par nato per le scienze; trovasi avvanzato nell’età di circa 45 anni, dottato di tratti civili e obliganti ». Il Numen morì a Costantinopoli nel 1673, lasciando dei manoscritti contenenti le sue osservazioni sulla Turchia (I, 122; II, 71). Il Magni ricorda pure l’arrivo a Costantinopoli nel 1673 del gentiluomo veneziano Giov. Antonio Soderini, che viaggiava in Oriente per raccogliere memorie antiche e specialmente medaglie, delle quali riunì una ricca collezione (II, 65; Don Iacopo Morelli, Dissertazione intorno ad alcuni viaggiatori eruditi veneziani poco noti, Venezia, 1803, p. 80 segg., per nozze Manin-Giovanelli ; Donazzolo, op. cit., p. 244 seg-Romanin, VII, 558; il Soderini è più tardi menzionato anche dai viaggiatori Spon e Wheler). Il Magni stesso accompagnò l’ambasciatore francese Nointel nel grande viaggio di esplorazione archeologica da questi compiuto in Levante. Anche il cappellano inglese Covel raccoglieva medaglie e pietre incise : a lui dobbiamo essere grati per averci conservato traccia delle lapidi genovesi che si trovavano allora sulle mura di Galata. Nel ’700 si ebbero pure, tra diplomatici e viaggiatori, collezionisti più o meno grandi e più o meno sistematici: come l’ambasciatore francese Choiseul-Gouffier, che impiegava artisti per dise- 246