P- 39 segg )- Monete europee, specialmente veneziane, come pure resti di antiche falsificazioni, si trovano ancora in abbondanza nei bazar e presso i « sarraf » (cambiavalute) di Costantinopoli e del Levante. (ls) Lo zecchino valeva circa 12 lire oro. La proporzione tra esso e le altre monete in uso in Levante si alterò progressivamente: se 1 zecchino valeva reali 1% nel ’500, ne valeva 2% nel ’600, 3 sul principio del ’700 e circa 4 sulla fine dello stesso secolo. (19) Cfr. Hasluck, op. cit., p. 45. Nel corso del sec. XVIII la piastra subì un crescente deprezzamento. (20) All. al disp. 20 ottobre 1728, n. 58, F. 181 : v. Appendice, doc. n. 4. (21) Il nome Saivago compare anche nell’elenco delle famiglie latine di Pera contenuto in una relazione italiana che rimonta a circa il 1631 (Rei. Pera, p. 23). (22) Disp. 24 luglio 1731, n. 51, F. 183. (23) Una parte di questo manoscritto si conserva in Germania: il Prof. F. Taeschner, che ne è il proprietario, ne ha pubblicato le illustrazioni (Alt-Stambuler Hof- unii Volksleben, Hannover, 1925) e si propone di pubblicarne il testo, del quale ci ha cortesemente comunicato quanto concerne il bailo e la sua abitazione; un’altra si trova a Venezia nel Museo Civico (cod. Cicogna 1971). (24) Il primo era il bailo che cessava dalla carica, l’altro il nuovo bailo; il dispaccio è firmato da ambedue. (%) Disp. n. 5, F. 118. (26) Il figlio di Pietro Zen, tornato a Venezia sulla fine del 1523, raccontava che le case di Costantinopoli erano basse, costruite in gran parte di legno e duravano solo trent’anni (Sanuto, XXXV, 259, 260). Il Ramberti rileva nel 1534 che Costantinopoli «è piena di case, non però molto buone, ma di creta e di tavole, e poche di pietra, è piena di boschetti [ciò che sarà notato da vari altri viaggiatori] cioè di luochi salvatichi e inhabitati, ove nascono cipressi e altri alberi tali » ; a Pera, « le case non sono molto belle nè comode » ; però 1’« altra parte, cioè quella di dietro è piena di giardini et di vigne assai belle et ben tenute, quelle specialmente di christiani » (p. 117 v., 118 v.). Il viaggiatore Marc’Antonio Pigafetta, che fu a Costantinopoli nel 1567 al seguito di ambasciatori dell’imperatore Massimiliano II, osserva: «Le case di questa città di Costantinopoli communemente sono basse et vili al modo turchesco, fabricate di legno, over di pietra, o di mattoni crudi posti insieme con terra et fango, opera che tosto se ne va per terra. Ve ne sono ancora delle alte et fabbricate assai civilmente, ma poche et queste tutte sono habitate da Christiani et da Giudei, e sono vecchie. Li Turchi o per usanza o per avaritia o per qual si sia altra cagione non hanno in costume di fabricare cosa alcuna di momento per l’uso lor particolare, ma edificij publici si bene sogliono essi con qualche pompa et grandezza innalzargli, come di sopra s'è detto, et massime le moschee » (Itinerario di Marc'Antonio Pigafetta gentil’huomo vicentino, ed. P. Matkovic, nelle «Starine» dell’Accademia di Zagabria, Knijga XXII, 1890, p. 113; la relazione del Pigafetta fu scritta a Londra nel 1585, anche ad istigazione del famoso Riccardo Hakluyt, giovane « molto intendente et amantissimo delle cose di geografia », come dice lo stesso Pigafetta). Il senatore Costantino Garzoni riferisce nel 1573, al suo ritorno dalla Turchia, che le «case delle città sono per la maggior parte di legno e terra, alquanto piccole e male intese, nelle quali non mettono studio, tenendo per peccato il fare stanze private durabili per più della vita di un uomo ». (Alberi, I, 392). Il bailo Gianfrancesco Morosini osserva nel 1585, descrivendo Costantinopoli: «posta nel più bello e vago sito che l’uomo si possa immaginare, manca essa ancora di quelle parti che fanno comparire le città, che sono di belle strade, di piazze adornate, di belli palazzi, perchè dalle moschee in poi, serragli, carvanserà e bagni, de’ quali ne sono in grandissimo numero, tutto il resto della città è confusione e sporchezze » ; e più innanzi rileva che i turchi « non si curano molto di belle case, nè di grandi edificj, e molto meno d’architettura, perchè nell’edificare attendono solamente al comodo proprio di colui che fa la fabbrica, non si curando punto che questa abbia da servire alla sua posterità, e nè meno che abbia alcuna apparenza o ornamento per di fuori (Alberi, III, 257, 266). E il bailo Matteo Zane nel 1594: «Non si vede altra bellezza di fabbriche che bagni e moschee e studj, che sono veramente fabbriche egregie e sode, a differenza delle case e serragli deboli e senza architettura alcuna, e non si estendono in grandezza oltre il necessario bisogno» (Alberi, III, 391)- Una relazione del 1579 nota che la «Porta ed il Serraglio del Gran-Signore, siccome per il numero delle genti, per la forma e per la ricchezza del vestire arrecano a ciascuno incredibile stupore, cosi la fabbrica e le stanze del medesimo, in cui poco I27