NOTE AL CAPITOLO TERZO (*) Venezia, Arch. di Stato, Capi del Consiglio X, B. i. (2) LVI, 401. (3) LVI, 826; cfr. anche 700, 824, 881. (4) Nel luglio 1522 la peste è descritta come « terribilissima » ; di peste, come abbiamo veduto, morì il bailo Priuli nel 1523; a causa della peste, come fu pure accennato, i mercanti veneziani fuggirono alle Vigne nel novembre 1525, lasciando solo in Pera il bailo Pietro Bragadin ; in tale occasione essendo anche Ibrahim pascià indisposto, il bailo gli consigliò « che ’1 manzase caponi e che '1 bevese bona malvasia, e stese in zoie e soni e canti, e che questo lo guariria da la quartana. E li mandò a donar una peza di formazo dolze et uno caratello di malvasia bona a l'odor et savor, qual li ha mandato di Candia domino Faustin Dolfin » ; poche settimane prima il Bragadin aveva riferito che il morbo « horamai è fatto familiar ». Nel 1533 sultano e pascià fuggirono invece a Beicos, ridente villaggio sulla riva asiatica del Bosforo, per paura del morbo. Domenico Trevisano riferisce nel 1554 che in tutto il tempo della sua missione era stato in pericolo della vita « per il morbo quale è stato quasi di continuo in quelle parti, ed anco si abbia avuto in casa più fiate quattro ammalati di questo male », dei quali però uno solo era morto. Il segretario Marcantonio Donini narra che verso il 1560 erano morte di peste più di 80.000 persone entro le mura di Costantinopoli e di Pera ; anche nella casa del bailo erano morte due persone ed erano caduti ammalati i dragomanni Pasquale (Navone) e Matteca (Saivago) e successivamente il maestro di casa. Nel 1575 morirono di peste otto persone del seguito dell’ambasciatore Jacopo Soranzo. Il bailo Giovanni Moro nota nel 1590 che a Costantinopoli: « Il poco pensiero che si prendono in far tener nette le strade, piene sempre d’ogni sorte d'immondizie, fa che rare volte si stia senza qualche sospetto di peste ; ma la sua forza vien temperata in parte dal vento tramontano, che nei maggior caldi dell’estate rare volte occorre che con gran benignità non soffi a salute de’ corpi umani». Lorenzo Bernardo ricorda nel 1592 che, appena giunto a Costantinopoli, gli erano morti di peste tredici uomini in soli tre giorni. Il 27 febbraio 1599 (m. c.) il senato scriveva tra l'altro al bailo, che era Girolamo Cappello : « Et con molto dispiacere havemo inteso li travagliosi accidenti del vostro male, et il pericolo nel quale vi sete ritrovato per causa della peste, che era entrata nella vostra casa, et che ha privati di vita il vostro Secretario e il Capellano » (Sanuto, XXXIII, 447; XL, 126, 515; LVIII, 639; Alberi, I, 178; II, 425; III, 208, 335; Rclatione di Carlo Ranzo, gentil’huomo di Vercelli, d’un viaggio fatto da Venetia in Constantinopoli, Torino, 1616, p. 55; Delib., R.° 9, c. 107). (5) Il Gritti, riferisce lo Zen nel giugno 1533, «me mandò a dir li parlasse a le Vigne, et cussi andai » ; e più innanzi : « el Signor et il bassà fono reduti a le Vigne propinque al reverendo Griti » (Sanuto, LVIII, 442 seg.). (6) Cfr. le relazioni del Ramberti e dello Schepper e la Vita di A. Grilli di N. Barbarigo, già cit. ; Dr. A. Mordtmann, Etne deutsche Botschaft in Konst., 1573-1578, Berna, 1895, P- 22 '• 125 i