MARIO LONGHENA Tutta questa attività, che non può non sorprendere in un giovane di appena 25 anni, non è tale da esaurire ogni sua energia; egli ancora ama conoscere quella terra di cui Giavarino è al margine occidentale, l’Ungheria, e ne parla con il conte Giovanni Eszterhàzy, vicegenerale della fortezza, e chiede spiegazioni e s’informa sulle sue condizioni. Grande lavoratore e quindi accumulatore di notizie storiche, geografiche, scientifiche, le ordina, le dispone con cura per potersene giovare al momento adatto. Qui, nella terra che egli prima studia fra le terre dell’impero, gli capita la triste avventura che lo rende prigioniero dei Turchi e lo ferisce in più d’una parte del corpo. Il racconto particolareggiato della sua disgrazia lo fa il Marsili nelle Conventiones fra lui e l’arciconfra-ternita di S. Maria della Neve (22 marzo 1727), a pagine 7-18. Ma se le dolorose ferite, non curate o mal curate ebbero a tormentarlo assai, se la fame lo travagliò non poco, se il viaggio penoso e le umiliazioni ebbero ad accrescere non poco le sue sofferenze, quanto tesoro di cognizioni sui paesi attraversati, sulle genti con cui fu a contatto, sull’assedio di Vienna e sulla posizione e sulle fortificazioni di Buda egli fece nel tempo della sua prigionia! E queste cognizioni egli seppe mettere ad ottimo profitto di poi. Ancor prima che egli fosse fatto prigioniero — e non fu estranea alla sua cattura il tradimento degli Ungheresi che eran con lui e che al primo apparire dei Turchi, odiando forse di più l’Austria che non gli Ottomani, avevano fatto causa comune con essi — aveva ricevuto la nomina di capitano di fanteria nel reggimento Die- ~ 22 ~