MARIO LONGHENA E d’altra parte per un momento pensiamo al Marsili che da più anni, pazientemente, andava raccogliendo materiale di studio per le scienze naturali e con quel signorile senso che era in lui vivo lo metteva a profitto de’ suoi amici e di quanti si interessavano alla scienza. Che cosa in fondo avrebbe a lui servito tutto il vasto museo che di continuo andava arricchendo di nuovi mezzi di studio, se gli altri — tutti gli altri — non avessero potuto usufruirne, se non avesse servito al pubblico degli studiosi, se di continuo fosse rimasto chiuso nelle sale del suo palazzo. Forse, se le sue ricchezze fossero state cospicue e tali da permettergli di creare l’istituto che andava a poco a poco disegnando nella sua mente, egli avrebbe senz’altro creato l’ente che gli pareva mancare nella sua città e che gli sembrava completasse lo Studio bolognese o meglio ne colmasse i difetti e ne correggesse le debolezze. Ma non era nato con troppe ricchezze, poi non poche ne aveva perdute durante la sua disgrazia militare ed altre aveva spese in acquisti di libri e di materiali e nella vita che conduceva, vita di spese e non di guadagni. E poi se ciò che aveva religiosamente raccolto fosse divenuto proprietà pubblica, la città di Bologna avrebbe meglio messo a disposizione degli altri, in sale e con bell’ordine, tale ricchezza; ed allora nasce in lui l’idea di donarla alla sua città perchè faccia quel che lui aveva in mente e che le sue forze non gli permettevano. Dunque da una parte assistiamo allo spuntare ed allo svolgersi ed al concretarsi di un’ idea: rendere pubblica una cospicua raccolta naturalistica privata, donandola alla città, far sì che la città faccia suo il piano di donazione che a poco s’andava concretando - 102 -