MARIO LONGHENA il gigante dell’Appennino settentrionale esce dalla linea di vetta appenninica, lo descrive con pochi tocchi c rozzamente, eppur resta a chi legge la figura del monte, che il Marsili à adoperato quel tanto di parole che bastano : più che descrittore, sbozza appena con quattro colpi di scalpello che sono sufficienti per dar l’idea del soggetto. Così la linea di vetta esce chiara, si vede il Serchio correr verso Sud, si vedono le ultime cime dell’Appennino Modenese, poi le terre al di là della cresta ed i borghi ed i castelli. Ed è strano che nulla lasci nella rapida descrizione che fa; la forma del Cimone, la nudità della sua parte superiore, la disposizione degli strati del terreno, dedotta dalla « pianuretta » che lo termina e confermata dalla grotta, presso la cima, che visita, le selve che ne rivestono i fianchi, le erbe che nascono scarse di tra i sassi, e l’orizzonte che vi si gode e le osservazioni di natura fisica e meteorologica — quasi presagio che sulla cima sarebbe stato posto un osservatorio — che di lassù è possibile fare: in una parola, in poche righe, è una cinematografia di visioni e di progetti. Concludendo, anche da questi abbozzi di descrizioni, da questi appunti che avrebbero potuto servire ad altri come materia da distendere con forma dignitosa in molte pagine, appare la mirabile tempra dello scienziato. Ma da altri prende i propositi che manifesta per nuove indagini, non segue la falsariga di scrittori precedenti nel dar conto di un viaggio o di una breve gita, ma è tutto lui, solo lui. Osservando, ragionando scopre da per sè quel che deve fare, quel che è bene fare. - 220 -