MARIO LONGHENA e quindi di maggiore difficoltà. Forse il M. non ebbe intera la visione dell’altezza dell’incarico a lui affidato, e se l’avesse scorto — si pensi che si era nel 1686, l’anno dell’inizio del secondo grande conflitto della Francia colFImpero — l’alta sua coscienza, con tutta la devozione che aveva per lTinperatore, si sarebbe dichiarata insufficiente ad assumerlo. È vero che doveva solo saggiare il terreno, gettar le prime sementi d’un fatto che si sarebbe maturato di poi, ma non minori erano le difficoltà. Si trattava di vedere se il Pontefice era consenziente ad una lega che doveva formarsi in Italia, antifrancese, si trattava di impedire in anticipo formazioni di forze favorevoli a Luigi XIV, e come del Pontefice doveva del pari il M. riportare impressioni precise intorno ai granduchi di Toscana, ai duchi di Mantova, Modena, Parma e Savoia, e per di più doveva riferire sulle loro forze. Ora se chiara è la risposta del Pontefice « non essere il suo stato per il lungo disuso delle armi adatto per una lega di stati italiani », ed il M. ce la riporta, non si sa quello che egli abbia detto e riferito allTmperatore circa gli altri stati, le cui intenzioni aveva avuto il mandato di indagare. Tornato a Vienna e comunicato l’esito della sua missione riprende la sua attività e va all’assedio di Belgrado, già incominciato sotto il comando del duca di Baviera. Questi non fu da meno del duca di Lorena nel dare a lui i segni della sua alta stima, nel chiamarlo a giudicare de’ suoi piani, nel metterlo a parte delle azioni militari che via via svolgeva. Qui l’opera sua non fu di attività, ma solo di consiglio e non potè nemmeno essere presente quando Belgrado fu presa, che proprio allora era intento a distornare una tempesta nel campo stesso imperiale. Il duca di Lorena, amma- - 30 -