MAKIO LONGHENA
Bologna per darsi tutto a quello studio che non aveva mai interrotto.
  Prima però un compito doveroso lo chiama a sè ed egli come obbedendo ad un intimo comando lo assolve. Se non aveva ottenuto la riabilitazione del suo onore nel paese che ingiustamente glielo aveva tolto, doveva pur dire una parola all’Europa che solo sapeva dell’onta che su lui pesava ed ignorava tutta la perfidia e la inconsistenza dell’accusa, doveva parlare a chi aveva saputo e non poteva fermarsi ad indagare se meritata
o	ingiusta fosse la pena che portava.
  Anche per un uomo che lascia definitivamente le armi è doverosa la difesa dell’onore, tanto più che egli non voleva che si credesse la scienza, a cui aveva deciso di dedicarsi, come un oscuro rifiugio per un fallito miseramente nella carriera delle armi.
  Giunto nella sua città si dà d’attorno e chiede ad uomini esperti nelle questioni d’onore il loro parere sull’atto che intende compiere: egli vuole dire con un manifesto che gli è stata fatta ingiustizia e vuole dimostrare che esente da colpa fu l’opera sua, e vuole che questo manifesto vada fra la gente posta assai in alto, e perciò, per esser più libero e per non aver noie e dar noie al governo pontificio, si ritira per un po’ nella Svizzera e di là diffonde la sua prosa di difesa e, conseguentemente, di attacco. Nè s’accontenta di questo, ma invia a Vienna una protesta intorno al giuramento che gli era stato estorto di non più servire in alcun altro esercito; e gli effetti di questa duplice mossa sono evidenti: mentre per la trafila del governatore di Milano gli è restituita la spada, da più parti gli vengono sollecitazioni per prender servizio in milizie d’altri stati.
  Ma se egli aveva chiesto di esser liberato dal giura-