MARIO LONGHENA Anche l’anno 1695 trascorre in azioni non risolutive: l’esercito si sposta or di qua or di là, tenta qualche atto a fondo, ma ben presto se ne ritrae: i comandanti supremi, conte Caprara ed elettore di Sassonia, sono incerti fra l’assedio di Belgrado e quello di Temisvar, e non sapendo a che cosa decidersi, stabiliscono di osservare da Petervaradino, messa in condizione di difesa, e il fiume Sava e l’ingresso della Transilvania e il corso del Danubio. Un altro ponte sul Tibisco è incaricato di cestrurre il M., e questi congiunge O-Becse con Tòrok-Becse con un ponte che avrebbe permesso alle truppe di portarsi rapidamente su Temesvar. Ma dopo aver cominciato la sua marcia l’esercito per la strada tracciata dal Marsili, questa viene interrotta e intanto rovesci si abbattono sulla Transilvania ed i Turchi fanno quasi le vendette del M., mostrando, con le loro conquiste, che ottimo era il suo piano e scarso e cattivo è quello dei capi dell’esercito. Il M. da Vienna, dove s’è condotto a curare le ferite già toccate ed ora di nuovo doloranti, non si astiene dalle proteste per l’oblio in cui sono state messe le sue fatiche e le sue premure; ma ogni suo sforzo non à altro effetto cbe questo di essere accusato come responsabile del male onde sono state afflitte le armi imperiali. È vero che facilmente riesce a difendersi dalle accuse rovesciategli addosso in risposta alle sue proteste, ed il Consiglio di guerra lo libera da ogni addebito, ma poiché il disastro c’era stato e qualcuno doveva esserne il responsabile, e poiché, non potendosi raccogliere sul M. ragioni di colpevolezza, queste ricadevano sul conte Caprara, su questi si addensò ogni colpa, e fra lui ed il M. il dissidio da tenue e coperto si fece aspro e palese; -42-