MARIO LONGHENA nalza un inno di lode agli antichi che creando lo Studio permisero che il sapere da esso irradiasse alle più lontane terre portato dai giovani da ogni parte accorrenti ad apprendere ed a farsi dotti. Di qui deriva tutta la gloria di Bologna, che più che per fatti illustri à avuto fama dai suoi dottori di diritto, dai suoi cultori di matematica e di filosofia. Poi passa alla prima parte che è di critica e di abbattimento: la gloria passata di Bologna ora è fatta debole; il suo Studio decade ed è fatto deserto: quindi non risponde più ai bisogni ed à dei difetti, dei mali che bisogna curare, che è nessario togliere. Primo dei mali è questo che l’ufficio di lettore è ormai considerato come un diritto dei cittadini, quindi cessando di esser chiamati degli estranei valenti e cadendo le nomine sempre su cittadini, s’è finito per avere un buon numero di assai modesti lettori invece degli ottimi e dei valentissimi d’un tempo. Perciò il Marsili nota un eccessivo numero di lettori — specialmente fra i legisti — con una non indifferente spesa, che basterebbe a procurare elementi migliori, ma meno numerosi, poiché le paghe più alte farebbero accorrere gli ingegni più atti ed alacri. Il Costa osserva che la poca simpatia del Marsili per gli studi di legge forse è determinata dalla loro decadenza in quel principio di secolo: noi aggiungiamo che forse in lui era un’innata incapacità a comprendere la bellezza e l’importanza di tali studi, tutto preso dalla scienza e persuaso che solo attraverso le scienze sperimentali ci fosse il rinnovamento degli studi. Ed eccoci alla pars construens del progetto marsi-liano che è la più importante e la più nuova. Comincia col proporre che si crei una cattedra di - 114 -