MARIO LONGHENA
  Dunque incapacità ed invidia furono le male arti che perdettero il Marsili e lo privarono di quella spada che solo per il bene e con fedeltà era stata sempre impugnata.
  Tre giorni dopo la sentenza, cioè il 18 febbraio, essa fu eseguita nella città stessa dove aveva seduto il tribunale militare. Il Conte d’Arco ebbe la testa tagliata dalla 9pada ed il Conte Marsili ebbe la spada rotta da chi aveva troncato il capo al Conte d’Arco: sullo stesso palco l’uno perdeva la vita e l’altro gli onori, le cariche e gli averi.
  Tre giorni dopo la sentenza, cioè il 18 febbraio, essa e per esser stato comandante in seconda e per aver conosciuto l’ordine preciso del Principe di Baden e per aver dato « il suo voto e consenso » per la capitolazione, che egli doveva in tutti i modi impedire, doveva subire la stessa pena inflitta al Conte d’Arco; ma — e non aggiunge nessuna ragione la sentenza, mentre i giudici dovevano esporre le ragioni che li facevano inclinare verso una più mite condanna e, tacendole, davano a divedere che non ne avevano nessuna per condannarlo e che motivi avevano non riguardanti il fatto per non assolverlo — « con tutto ciò viene dimesso con la rottura della spada, e gli onori e le cariche egli deve lasciare ed il suo bagaglio deve essere venduto ».
  In questo è certo la condanna del Marsili che poco più che quarantenne, da moschettiere, era salito al grado di generale, ma è la sua assoluzione come uomo d’arme, chè non è condanna, rispettosa della più severa legge, quella che dopo avere accomunato uno nelle colpe a chi meritava la più dura sanzione, non invocando alcun pretesto di clemenza, con un semplice « contuttociò » lo sottopone a pena infinitamente più lieve ed è paga di
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