MAKIO LONGHENA stoie dell’altra, perchè si ravviva al sole della libertà nè obbedisce a canoni vecchi od a formule trapassate. Forse non ci fu tempo in Bologna più abbondante di uomini di eccellente ingegno di questa prima metà del settecento, e questi uomini al di fuori dello studio, lavorarono, scrissero in prosa e in versi, discussero e scoprirono cose non inutili. C’erano anche Accademie, sorte umilmente, con pochi mezzi e vissute entro le ospitali sale di palazzi privati, le quali acquistarono anche fama fuor della città e finirono poi per ricevere un’impronta ed un riconoscimento ufficiale, perdendo in freschezza e vivacità ed acquistando in sicurezza di vita. C’era allora un’Accademia, detta degli Inquieti, la quale era stata fondata nel 1690 da Eustachio Manfredi, allora sedicenne: di essa erano stati presidenti vari uomini valenti nelle scienze e nelle lettere, e varie case l’avevano ospitata. Finalmente essa aveva avuto la fortuna di essere accolta nel palazzo Marsili, dove stette a lungo. Un’altra Accademia — un po’ più giovane di nascita — era quella che aveva preso il nome dal pontefice di quel tempo Clemente XI — l’Accademia Clementina —, la quale radunava entro di sè tutti i cultori delle Arti Belle ed aveva avuto la sua prima sede in uno dei palazzi aristocratici di Bologna — quello Fava — dove un altro artista bolognese, L. Caracci, aveva profuso la sua ricca arte. A queste due Accademie appartennero gli uomini più insigni di quel tempo in ogni forma di attività intellettuale : basti ricordare qualche nome perchè alla mente salgano ricordi di scienze rinnovate e per essi fatte ampie, di scoperte nuove, di discussioni vivaci, di libri - 96 - i