no e di Veneto di presiedere non tanto alla difesa della metropoli adriatica dalle insidie della terra, del mare e dell’aria, ma all’opera stessa di rivendicazione all’Italia di questo golfo che Venezia per tanti secoli ha conservato alla latinità e che in nome di questa a Roma deve tornare per i secoli venturi; Consenta l’illustre Sindaco di Venezia che da un quarto di secolo e specialmente in questi ultimi epici anni diede alla sua città non solo tutte le doti della sua niente e del suo cuore ma anche il prestigio del suo nome dogale (piale nuovo auspicio di un rinnovato secolare sposalizio col nostro mare; Consentano le Rappresentanze Ufficiali di Ancona e di Bari (pii intervenute in persona o in ¡spirito, accanto a quelle di Trieste e di Fiume, di Ca-podistria e di Zara, che, al solo scopo di render più solenne e significativa la cerimonia odierna, [ire/netta l’affermazione estranea ad ogni personale orgoglio, di portare a voi tutti e per voi al Poeta illustre della nostra gente e al soldato magnifico della nostra guerra, il saluto e il consenso pieno e cordiale di tutti i Membri del Governo d’Italia, alcuni dei quali m'i hanno dato il preciso incarico di rappresentarli. I fuorusciti addatici della V enezia Giulia e di Dalmazia consegnano a te, Gabriele I)’Annunzio, questo velivolo di battaglia nel nome ormai sacro di Nazario Sauro. Su quest’orlo breve di terra, fra Venezia e il mare, dove le più auguste memorie e le più alate speranze sembrano audacia, i fratelli dell’altra sponda suggellano in quest’ora un patto lontano stretto con te durante quel lungo martirio silenzioso. Allora nella triste oscurità, sembrava che nella Italia dimentica di Lissa e dei figli suoi torturati e decimati dallo straniero, ardesse soltanto la nostra fede e il tuo cuore. II tuo gran cuore che il volgo ignorava, o Poeta. Il volgo non udiva; e tu, per noi, cantavi que- ita divina Italia e le sue glorie e speranze marinare risollevandone al sole l’immagine augusta, sicché potemmo nutrirci in segreto del tuo verso come pane necessario alle anime nostre che volevano rimanere fedeli a Venezia e a Roma. Così, mentre tu per noi cantavi « Patria ai f eneti tutto l’Adriatico », uno dei nostri, un giovane ignoto di Capodistria, navigando il nostro mare natale, pregustò certo del tuo vaticinio la gloria del patibolo e la luce dell’immortalità, come la nostra ansia ravvisava e coglieva nella sincerità trionfale del tuo canto il continuo anelito di poter un giorno eguagliare l’azione alla parola. E giunta finalmente l’ora, il Poeta, aureo cesellatore del nostro idioma soave, fu soldato fuso in un acciaio di temjira incomparabile, sicché, nell’incendio che arrossa il mondo, pare che da tre anni tu rifonda e riteni/iri ogni giorno te stesso per offrire all’Italia, come ad ogni altra Nazione in guerra. una sempre nuova magnifica figura d’intrepida bellezza, composta in latina armonia. Perciò, o meraviglioso combattente della terra, del mare e del cielo, tu sei degno che la Patria ti consacri alfiere ed araldo di quella resurrezione latina che s’annunzia ormai certa tra eroici bagliori, come sei degno d’accogliere in questa Roma del mare l’offerta dei fratelli di sangue e d’anima nel nome per noi sacro di Nazario Sauro. Come già nell’ora della triste aspettazione Vaiata strofa di Gabriele I)’Annunzio si diffondeva lungo tutte le spiaggie adriatiche recando la parola di fierezza italica e di fidente attesa, così attraverso il golfo che il martire istriano amava ancor più della sua terra, trasvoli domani quest’agile ala, recando in suo nome ai fratelli dell’altra sponda da Trieste a Fiume, da Zara a Spalato il tricolore messaggio dell’ormai breve attesa. Ma oltre le Alpi, oltre le terre protette ancora dal leone aligero e che il lungo martirio del più illustre e degno fra i popoli oppressi di Europa ha per sempre sacrato all’Italia, siano queste candide ali che ti consegniamo, l’arrna tremenda della giusta vendetta. A San Nicolò di Lido, al Campo d’Aviazione della «Serenissima». In attesa delle Autorità. — 217