di nuova volontà per Voi, sparvieri dell’arma nostra, sebbene non abbiate bisogno di sprone, per noi che dobbiamo risolvere quotidianamente un difficile problema di lavoro. Il velivolo è la sintesi di tutta una organizzazione di uomini e di cose; noi lo vediamo rifinito e brillante, ma bisogna ricordare che esso viene da una complessa opera di ideatori, di disegnatori, di modellatori, di montatori, da tutto un travaglio di approvvigionamenti ; trafilare tubi, in trecciare cavi, forgiare acciai, segare eliche, tornire i proiettili e preparare insieme campi, hangars, istruttori, j>iloti, motoristi, mitraglieri; le difficoltà sono enormi; ma lo calcolano forse i combattenti? Chi vuole fermarsi, retrocedere mai? Voi date Vesempio che bisogna operare fin dove si comporla la capacità delle cose e della organizzazione, lasciando ogni mormorazione ed ogni diffidenza; perchè chi oserebbe oggi essere ingannatore? Fortuna a te, o trimestre, che conoscesti le glorie passate dei caduti: Dayalà, Bado, Barbieri, Visconti, Covi e Pagliano tuoi compagni, o d’Annunzio, e di coloro che sono e staranno lungamente ¡ter amore d’Italia sulle ali nostre, Ertole, Buttini, Lapolla, Zapelloni, insieme con la larga schiera dei giovani nuovi votati alla vittoria. L’apparecchio collettivo si congiunge oggi al vibrante apparecchio individuale da caccia e con quello delle sentinelle ardite per la ricognizione; ognuno di voi sia cosa sola col suo mezzo e di esso faccia il proprio posto di trionfo; è per difendere la generazione che sorge, i giovani nati che vedranno essi l’Italia nuova, forte, rifatta, e ne formeranno la sicura grandezza dell’avvenire. Questa continuità della vita, filosofia della fede e realtà insieme, noi sentiamo ringagliardire di fronte a queste balde giovinezze che la difendono insieme ad inflessibili maturità, a questa dovevi pensare tu, o Comandante IVAnnunzio, nell’ora in cui ti trovasti il giorno 21 Agosto sulla Piazzaforte di Pola incrociando fra le 17 e IH, solo, volontariamente solo col tuo 10789 a Punta Maestra per gettarvi le dodici granale, che colpirono tutte l’obbiettivo: esempio ignorato e magnifico insegnante glorioso per tutta l’aviazione, che riunita in un sol fascio, ipiella della Marina, quella dell’Esercito I-taliano e quella degli Alleati, ha già vinto nel cielo, dove la seguono gli occhi ansiosi ed innamorati di tutta la Nazione, e più degli altri pensosi, quelli pieni di speranza dei nostri fratelli dell’altra sfionda Adriatica ». Il Comandante Gabriele D’Annunzio, vivamente ascoltato, così parlò : « Le vostre parole, la voce dei capi, la voce dell’amico fedele„ la voce del fuoruscito onorando, ci bruciano il cuore, ci arroventano l’anima. Col ferro, con la fiamma, col maglio un fabbro potente foggia subito un’arme o un arnese a gran colpi. Qui l’incudine non c’è. Ci siamo noi; un pugno di volatori a terra, smarriti, j>alpitanti. E le vostre parole non domandano altre parole. Domandano l’atto: comandano l’atto di vendi-cazione piena, il aVolo Trionfale» — come assegna il fuoruscito — la mèta raggiunta e percossa, il lini ite della gloria superato, il sacrificio convertito in baleno immenso. Ma partiamo dunque! Carichiamo le nostre carlinghe! Approntiamo le nostre mitragliatrici! Mettiamo in moto le nostre eliche! Grido la mia ansia, grido l’ansia di questi miei giovani combattenti che hanno tutti il petto attraversato dall’azzurro della prodezza. Ho i loro cuori nella mia mano. Battono e soffrono. Ardono e balzano. Ecco la loro passione, ecco la nostra passione, donatori. Eguaglia la vostra. Per questa siamo forse degni del dono. Ma è un dono tremendo. Chi mi voleva dare una corona. Chi mi voleva dare una spada. Una corona di metallo? Una spada senza taglio? Ci sono premi che pesano, ci sono premi inerii come fardelli. Ci sono ricompense che cadono sopra un uomo come la pietra sepolcrale. Dio me ne guardi ora e sempre. Dio ve ne guardi, fratelli. Ma voi mi date un premio terribilmente vivo, o uomini dell’altra sponda. Voi ci fate una offerta di vita e voi ci fate una offerta di morte: di quella morte che oggi è una forza più viva della vita. Voi ci date una macchina alata, una struttura esatta di legno, di tela e di acciaio con tre cuori pulsanti: questa che vediamo, questa che conosciamo, questa che ha la sua robustezza e la sua fragilità, questa che avrà il suo rombo e la sua rotta. Voi ci donate un dono divino, di quelli che l’uomo spera e paventa, di quelli che fanno esultare e tremare l’uomo. A noi mortali voi date un compagno immortale. Chi potrà più dormire? Mi sembra che non potremo più dormire se la stanchezza non ci schiacci. Egli ci sveglierà nella notte, egli ci sveglierà all’alba, egli ci sveglierà ogni ora. Egli sarei il nostro dèmone. Egli sarà il dèmone marino che soffierà nella nostra anima e nella nostra ala. Egli sarà la nostra vigilanza, egli sarà il nostro coraggio, egli sarà la nostra fortuna. Io non l’ho mai veduto, io non l’ho mai conosciuto. Più d’una volta lo cercai e non lo trovai. So che anch’egli mi cercò e non mi trovò. Io l’amavo e credo che egli mi amasse. Conoscevo la figura del suo eroismo e non quella della sua umanità. Era destinato che io lo cono- — 220