DA LISSA A PREMUDA Appena mezz’ora durò lo scontro che per cinquantanni doveva inchiodarci in una posizione di umiliante inferiorità nell’A-driatico. Perdute nell’urto col nemico due navi, la Re d’Italia e la Palestro, la flotta italiana era pur sempre superiore all’avversaria, sia per numero, sia per potenzialità, e aveva la possibilità di continuare la battaglia, di tramutare l’insuccesso iniziale in una vittoria : c’era il tempo, nelle lunghe ore pomeridiane di quella giornata di luglio; c’erano poderose forze intatte, quali quelle rappresentate dalla squadra dell’am-miraglio Albini, che inerte aveva assistito allo scontro ; c’era la volontà di molti dei comandanti e degli equipaggi. Invece.... Invece fu dato l’ordine nefasto della ritirata su Ancona, che lasciava la bandiera dell’Austria padrona di quelle acque su cui avevano sventolato dominatrici le bandiere, e aleggiavano ancora i ricordi delle glorie di Venezia. A chi addebitare la responsabilità del disastro? Fu la domanda che assillò gli animi di tutti gli italiani, dopo i tristi eventi, e che inasprì i dibattiti e le polemiche che ne seguirono. Colpa dei capi, certo, inetti come il Persano, o traviati da astii personali come