277 parte emersa dello scoglio era sulla dritta e quindi il battello era incagliato sul pendio del bassofondo quasi nel senso della linea di eguali fondali fra 3 e t metri a ponente dello scoglio stesso ed in modo da essere sbandato sulla sinistra fra i 30 e 40 gradi. La notte era talmente oscurata (il tempo si è poi messo alla pioggia) che, malgrado la brevissima distanza, il fabbricato del faro si discerneva appena come un’ombra più cupa, senza vedere i contorni, e sono convinto che uno scarto di 100 metri ancora a ponente mi avrebbe evitato l’incaglio e lo scoglio non sarebbe stato neppure avvistato. Siccome nessun lume era visibile e non si vedeva altro segno di vita, ho supposto che lo scoglio fosse abbandonato, e siccome gli scuotimenti che aveva il battello con il motore termico di dritta indietro erano tali da darmi forti speranze di disincagliarlo, non ho mandato nessuno a terra, tanto più che il pilota mi assicurava che non vi erano mezzi di comunicazione tra il faro e la terra ferma. Di più non avevo imbarcazioni e dato il vento da E.N.E. in continuo aumento, il tempo oscurissimo e la corrente, non volevo rischiare di perdere un marinaio per una ricognizione che ritenevo inutile. Ho mollato la zavorra, ho tagliato l’ancorotto di agguato e con l’unico motore termico che aveva la marcia indietro (quello di dritta), e quello elettrico di sinistra a tutta forza, ho cercato di disincagliarmi. Ho fatto distruggere e gettare in mare tutto ciò che aveva carattere di riservatezza e le bandiere nazionali, perchè dovevo prevedere l’arrivo da un momento all'altro di qualche silurante nemica e non volevo correre il rischio di dimenticare qualche cosa lasciandomi prendere alla sprovvista. Poi ho cercato di alleggerire in tutti i modi il battello facendo vuotare anche una delle due casse di nafta. Non potevo tenere in moto il motore a combustione altro che per periodi di tempo molto brevi, perchè, a causa del fortissimo sbandamento, le circolazioni di acqua, di nafta e di olio in ispecie funzionavano malissimo ed ogni tanto dovevo arrestare per non produrre riscaldamenti troppo forti che mi avrebbero messo in avaria, togliendomi l’ultima speranza di salvezza. Intanto avevo fatto riparare una lieve avaria alla stazione r.t. ed alzata la pennola come meglio potevo, avevo fatto la chiamata convenzionale con la lettera P stabilita dal codice in vigore. Questa lettera doveva essere seguita dal numero del quadratino indicante la mia posizione su di un’apposita carta idrografica pubblicata dal Comando in Capo dell’Armata e che io avevo fatto distruggere come ho detto sopra. Per individuare la mia posizione facevo conto sulle stazioni radiogoniometriche. Ai primissimi albori non avendo visto arrivare ancora nessuno feci fare anche il segnale « P Galiola » ripetuto molte volte.