- 112 - muovendo piccoli passi incerti e consultandosi attentamente l'un l’altra con gli sguardi. Mi diressi allora co’ miei uomini a un gruppo di Farseroti riuniti ai piedi delle calive, all’ombra d’un albero sotto cui parevano tener consiglio. Spuntavo io in quella da una piccola valle, comparendo loro davanti a una distanza di circa trenta metri; ed essi ne furono sorpresi, levandosi di scatto in piedi e scandagliandoci sospettosi. Io ne riconobbi subito due e li chiamai per nome: Alexe e Naiche, del Comune di Scrofetina, in Musacheia. Mi riconobbero essi pure a colpo d’occhio, con estrema maraviglia. La gioia dei Farseroti ebbe allora un’esplosione unanime, poi che essi non si sarebbero mai immaginati di rivedermi in quei paraggi.... M’invitarono cordialmente in una delle calive per offrirmi del caffè e mettersi tutti in cerchio attorno a me. Perfino le donne e i bimbi mi riconobbero, poiché li sentivo esclamar in coro: «Questo è il signore eh'è venuto l’anno scorso da noi in Musacheia. » Povera gente ! Quale felicità nel vedermi adesso sui monti, dopo la mia visita fatta loro al piano..., sicché già ognuno fìgu-ravasi lo scopo della mia nuova scorreria lassù, nè alcuno mi sospettava più, come fra i Farseroti del primo villaggio. Per più di un’ora rimanemmo a conversare insieme, e tutti erano cosi entusiasmati che non avrebbero voluto lasciarmi partire. Manco a dirlo, io ripetei loro il fine del mio viaggio in Albania, parlando della Romania e facendo rinascere ancora una volta in quegli ottimi, semplici cuori la dolce speranza.... « Ed ecco — replicavano essi — ora ci conosci bene, perchè ci hai veduti prima in Musacheia e adesso qui, sulla montagna.... Noi siamo romeni ed amiamo la nostra madre patria, la nostra lingua materna.... Fa ciò sapere alla Romania, fa comprendere ai nostri connazionali come noi siamo poveri e non abbiamo un