— 338 — Cossova. Lasciata Lubsca, di buon mattino, non m’incamminai direttamente verso Fra^eri, ma presi il sentiero a sinistra che conduce a Cossova, in una vallata dove mormora una sorgiva.... Cossova si offre allo sguardo ottimamente, se vista dall’ alto; tutte le abitazioni sono discrete, e molte appaiono imbiancate, lo che indica come i suoi abitanti, romeni e albanesi, vivono in una certa agiatezza. Domandai del romeno Ciote Papa Ilia, sindaco, di cui aveva già sentito a dire esser uomo dai sentimenti nazionali; e Ciote in fatti m’invitò in sua casa affabilmente, con diversi compatriotti e un albanese che parlava l’italiano. Si discusse di vari argomenti, ma la musica predominante fu sempre quale m’era risonata all’orecchio dovunque in Albania. Lo stesso albanese perorava nell’italico idioma, la causa de’romeni, assicurando che gli albanesi debbono considerarsi fratelli nostri e dimostrandomi come aiutando la madre patria i romeni di Albania si aiutino, benché indirettamente, gl’interessi albanesi. « Noi siamo vostri fratelli, ripeteva il caro, simpatico albanese, e ci rallegriamo quindi delle gioie dei romeni, e ci rattristiamo per le loro sventure. » Io, pur essendo convinto della profonda sincerità di cui era materiata la calda parola dell’ albanese, non avrei al certo potuto convincere i miei poveri compatriotti della completezza d’una simile fratellanza albano-romena! In verità, da quanto io aveva visto e sentito in Albania, potevo sol questo asserire: che laddove i romeni son benestanti, ricchi, gli albanesi li stimano ed amano, ma se quelli son miseri, avviliti, questi, gli Schipettari li disprezzano, senza troppi complimenti.... Gli Albanesi di Cossova vivono in buoni rapporti con i nostri connazionali, appunto perchè costoro sono agiati, posseggono ter-