— 172 — Detto, fatto: due giorni di riposo a Berat, e su in marcia al Tomor, accompagnato dal nostro bravo istitutore di quella città, Lazar Pulii, e da due suvary musulmani dei quali uno era il capo degli stessi suvary, un albanese aitante della persona e vivace d’ingegno. Nove ore di strada e giungiamo a Bargulas (Comune musulmano alle falde del Tomor), seguendo la linea Liumi-Beratit, e passando nelle vicinanze dei villaggi rumeni sunnominati Ho-geani e Vartopi; un’escursione, disgraziatamente, identica a quella del passato prossimo, cioè... disastrosa, per colpa della pioggia. Mossomi da Berat con un cielo cupo, nella speranza, nella illusione, che questo si sarebbe rischiarato... in via, un rovescio d’acqua ci coglie prima ancora di arrivar a Voditza, ci caccia nell’interno d’un han. Mentre ci riparavamo là dentro, una moltitudine di farsa-lioti, uomini, donne e bambini, scendeva dal Tomor. Erano i farsalioti di Ostrovitza, cui accennammo già, esponendo la causa dell’abbandono delle loro calive sparse su quella montagna.... Scorti da lontano, mi produssero l’impressione dei nostri zingari in partenza, poi che, come loro, tenevano i piccini entro alle bisaccie pendenti dai fianchi de’ muli, in allegra promiscuità con galli, galline, gatti..., senza pregiudizio di qualche porcellino ! Camminavano, la maggior parte a piedi, silenziosi e tristi, nello stropiccìo melanconico della pioggia; gli uni in malo arnese, tremanti per il freddo, gli altri... scalzi addirittura, e coi brividi della livida febbre.... Le mamme si stringevano al petto — alcune, le più forti — le proprie creature, incitandole a non piagnucolare, susurrando le dolci parolette materne! Oh ! quello spettacolo di squallore non lo dimenticherò mai... Nell’ ora di tristezza che volgeva, sotto la bigia cappa delle nubi, nel viscidume dell’aria e del suolo, la scena mi toccò l’anima! Tanto più che io era a cognizione della nemica sorte che spin-