— 152 - querimonie, e a carico del Turco.... « Noi, signor nostro — dissero fra l’altro — siamo eternamente in viaggio, tu lo vedi, e se non fossimo ben vestiti non potremmo sopportare i disagi del cammino, specie d’inverno, al sopraggiungere delle pioggie, della neve.... Ma le nostre donne sono operose; esse ci confezionano gli abiti che portiamo addosso, e altrettanto fanno per le loro vesti, per gli indumenti famigliari.... Invece, il Turco non lavora (1), e gli stracci gli pendono da ogni parte; e le sue donne non sanno lavorare, e lasciano che i mariti, i figli, loro medesime... si offrano agli occhi della gente laceri, pezzenti... e peggio! Il Turco non ha che una mania: quella di pigliare la roba d’altri, di venirti incontro, sulla tua strada, per depredarti senza fatica dei frutti del tuo lungo, sudato lavoro.... Nè tu — signor nostro — potresti mai immaginare quante e di qual genere siano le sofferenze da noi patite per colpa sua! Reclamare? Non ne vale la pena, davvero, chè se ci lagniamo con le Autorità... restiamo con un pugno di mosche, la ragione stando sempre dalla parte del turco.... Chi ci rimette, in tal caso, siam sempre noi.... Preferiamo, piuttosto dargli della lana, dei tessuti, perfino dell’olio, al nostro ritorno da Berat, nella speranza che con ciò vogliano lasciarci in pace esercitare il nostro mestiere.... Ora, si sta un po’ meglio; ma nel passato... era un’ira di Dio, poi che ci ammazzavano i muli, e cosi cadevamo in rovina, essendo la carovaneria l’unico mestiere da noi conosciuto! Ora, dall’epoca in cui Ismail, a due riprese, ci aggredì, le Autorità ci concessero una garitta alla « Chiatra taliatà » dove pernottiamo, e ci promisero altresì di farcene costruire un’altra a Protopapa; ma vedendo poi che da quest’orecchio non ci sentivano più, ce la siamo edificata da noi, a nostre spese, in quanto che (1) Un Albanese-musulmano di Hersega additandomi alcuni Farseroti-Ciameriani di Colonia, ebbe a dirmi : « Se non vi fossero questi, morirebbero i Turchi di fame».