- 109 - inviato i lor fratelli di Romania per trarvi notizia dei fratelli di Turchia; che perciò m’ero spinto fino a loro, per recare il « saluto » fraterno ai Farseroti, dalla Romania, loro e nostra madre patria. E la conversazione allora si accese; essi non dubitarono più di me, scoprendo in me un fratello venuto di lontano per dir loro una parola di conforto; e sentimmo quindi insieme di essere gli uni degli altri.... Quante cose non mi chiesero, quanto non mi narrarono..., sicché io- non potevo saziarmi di ammirarli nella loro piacevole presenza, nella dolcezza dei loro conversari e in quel non so che di attraente che seduce, avvince, soggioga le anime gemelle.... Forse, io mi lascierò trasportare eccessivamente dall’amore che nutro per questi Romeni, ed esagererò senza volerlo le virtù del nostro migliore e più puro sangue fraterno, da noi lasciato in pieno, vergognoso oblio di sè stesso!.... Ma non io imparai ad amarli questi Farseroti per lettura, di lontano, bensì ai loro monti inesplorati, nelle loro povere calive, qui riposandomi dalle dure veglie e con essi dividendo il frugale pasto, nelle valli sonore dei loro greggi, nelle strade corse dalle loro carovane! Là, su quegli aspri monti, ho appreso ad amarli questi Farseroti, giurando affezione ed eterna memoria alle forti schiere di dimenticati dagli uomini e da Dio, alla deriva lasciati proprio da coloro che dovrebbero aiutarli quali fratelli. Una dolce melanconia mi pervadeva tutto l’essere, quel giorno, mentre li ascoltavo ed io rispondevo, guardando verso la pianura di Colonia, verso Coritza, e lo sguardo mi si perdeva su per i cumuli delle montagne, lontano lontano, col pensiero intravedendo il Danubio e i Carpatzi, la Romania! E un senso di sdegnosa rivolta mi scaturiva dal cuore, in ondate furiose.... La stessa emozione provo ora — credetemi ! — scrivendo,