- 101 - oltre sorgente, ad Est, se dobbiamo far fede alla leggenda, costituiva un vero e proprio nido di briganti. Là si radunavano, una volta all’anno, per la festa di S. Giorgio, gli aspiranti a... imprese brigantesche. La... buona gente metteva ad arrostire un montone vivo — così narrano — e chi poteva resistere al barbaro spettacolo, alla feroce rappresentazione — cosi potendo capitare a un qualunque della brigata — veniva senz’altro annoverato membro della società dei saggi in brigantaggio, atrocità et similia!... I... gentiluomini si spingevano fino in «Magiaria», tornandone pingui di bottino, di « casse piene di danaro ». Ogni socio della benemerita -massoneria era obbligato a tenere uno stallone per le bisogna delle nobili imprese. Da quella parte, detta «cheare», ossia Est (oriente), tro-vavansi le calive farserotesche di Balamace, in un recesso chiamato fino ad oggidì «calive»; e là notasi tuttora un fosso del-l’epoca. Sipsca si demolì alla morte d’un prete, che « aveva fatto mangeria di quattrini », a detta dei vecchi Sipscani. Alcuni avrebbero prese le parti del degno sacerdote, altri si sarebbero dichiarati contro, tutti alla fine venendo a contesa fra loro; di qui, discordie e odii sanguinosi, feroci lotte intestine che spopolarono via via la città, i cui cittadini caddero sotto i colpi della guerra civile o fuggirono per tema di vendette personali. Si racconta in proposito un aneddoto, di certe galline spennacchiate, aneddoto che la leggenda attribuisce pure ai Moscopoleni, i quali, ga va sans dire, ne reclamano, anzi, la paternità. Narrasi, dunque, che un dovizioso sipscano, vedendo la città in rovina, e prevedendone la non lontana fine, si salvasse precipitosamente, lasciando un bizzarro quanto pratico ammonimento a’ suoi concittadini, che un bel mattino non lo videro più e trovarono in sua vece, nella casa di lui, tre galline: una,