— 104 — nei tempi antichi a soffrire non poco delle persecuzioni del clero greco. Partito a cavallo per Bitcuchi, godei della pur sempre amabile compagnia di Balamace, del figlio di Cosma, istitutore nostro a Bitcuchi, e di un giovane farserota di Pleasa, a nome Nastu, che ci aveva «atteso a Sipsca nel giorno in cui stabilimmo di arrivarci allo scopo di recarci insieme nei centri romeni di quelle parti. Noi però, a cagione delle peripezie già raccontate, avevamo non poco ritardato, anche per spostamento d’itinerario, sicché il bagaglio, lasciato a Nicea, compreso il mio diletto violino, avevano, dopo una settimana, portato a Moscopole a mezzo del romeno Lambi, come d’accordo fin da Pogradetz. Lambi era arrivato a Devol con un musulmano, ma poi, non osando passare i monti verso Sipsca, aveva mutata strada, seguendo il Devol sino a Coritza, e di lì a Moscopole. Egli non prosegui tuttavia con noi a Bitcuchi, poiché insieme ai gendarmi eravamo di già sei, e tal numero mi sembrò sufficiente per la sicurezza nostra personale. La strada di Bitcuchi si prolunga per quattro ore di cammino, prima sui colli e quindi in valli e valichi pericolosi, specie nelle vicinanze del Comune musulmano Gheorghevitza, che gode di una pessima riputazione. Nel passarvi daccanto, i gendarmi ci raccomandarono di procedere svelti, senza fiatare.... Bitcuchi è collocato a una certa altezza sui fianchi d’un monte, alle cui radici scorre un torrente abbastanza gonfio in epoche di piena; il Comune, un tempo, fu discretamente vasto, contando, a quel che si assicura, un dodicimila anime, e quattordici chiese. I suoi avanzi testimoniano come questo centro, una volta romeno, costituisse uno dei grandi nuclei dei Romeni della regione montuosa. La tradizione vuole che esso sia stato distrutto da Selman Dalip, bandito di Radovitzca, e da Curd-pascià.