sete un salvacondotto, ma uscì di viva forza, seguito da cento cavalli e da duecento fanti, e raggiunse Venezia il 25 agosto fra le acclamazioni del popolo. L’arca marmorea sorgeva un tempo nella cappella maggiore della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, dove egli aveva deciso di essere sepolto, come risulta dal testamento del 25 luglio 1360. Al principio dell’Ottocento fu rimossa e trasportata nella cappella di S. Pio V, la seconda a sinistra guardando la maggiore, per dar luogo al monumento del doge Vendramin, tolto dalla chiesa demolita dei Servi. Fu collocata molto in alto al di sopra del monumento del senatore Marino Cavalli. Nel prospetto al centro si vede in una piccola nicchia scolpito a rilievo Gesù Cristo in trono sotto un padiglione, le cui estremità sono rette da due angeli, i quali hanno ai piedi il doge e la dogaressa inginocchiati. Ai lati della nicchia nei due riquadri sono rappresentati in rilievo a sinistra i re Magi e a destra il transito della Madonna. Alle estremità del prospetto stanno. in due piccole nicchie, limitate da piccole colonne a spirale, due figure a rilievo, che rappresentano l’Annunciazione. Sopra e sotto il prospetto girano cornici scolpite, che seguono con sporgenze e rientranze le nicchie e i riquadri. Due mensole scolpite ad ornate con gli stemmi Dolfin d’azzurro a tre delfini d’oro, posti l’uno sull’altro, sostengono l’arca. In origine il Sanudo scrive che, di sotto all’arca, doveva esserci un’iscrizione in lettere d’oro, che però già al suo tempo non si vedeva più. Il lavoro per la costruzione dell’arca risulta essere stato iniziato mentre il doge viveva ancora, perchè i procuratori di S. Marco, suoi commissari, pagarono, il 2 marzo 1362, 59 ducati d’oro, resto del conto del tagliapietra Andrea da S. Felice, che ne fu l’autore. Oltre che buon soldato di terra e di mare, Giovanni Dolfin fu un eminente uomo di Stato, giureconsulto e diplomatico e quando fu chiamato al dogado era fregiato della veste procuratoria de supra. 88 *