grandioso palazzo di S. Sofia ricco di suntuosi mobili, di quadri e di opere d’arte, di cui si può aver idea in un inventario del 20 aprile 1763, che ebbe come stimatore anche il celebre pittore Pietro Longhi, teneva fra le famiglie patrizie venete una eminente posizione avendo avuto per cinque generazioni una discendenza di procuratori di S. Marco. Un gran crollo morale fu per essa la privazione del grado di procuratore di S. Marco e la condanna a dieci anni di carcere toccata al padre del doge, Zaccaria, per la viltà ed inettitudine da lui dimostrate essendo provveditore generale dell’esercito veneto, durante la guerra di successione di Mantova e Monferrato nella battaglia di Valeggio, in cui fu sconfitto, il 25 maggio 1630, dalle truppe imperiali. La famiglia ne provò tanta vergogna che il doge, quando, raggiunta l’età, venne ammesso nella vita pubblica veneziana, si contentò per dare meno nell’occhio di far parte dei tranquilli consigli dei Quaranta, mentre i fratelli minori di età si facevano vedere perfino dimessi nel vestire. La morte di Paolo governatore di nave, avvenuta nel 1646 in Armata per inclemenza dell’aria, e di Bernardo capitano della cavalleria oltramarina nel combattimento delle Cisterne nel 1645 durante la guerra di Candia, fecero dimenticare i falli paterni e la fecero ritornare in grazia e in considerazione. A questo si aggiunse il considerevole aumento della già cospicua sostanza familiare per opera di Alvise, che nel corso di dodici anni riuscì ad attivare in Cadore un così florido e solido commercio di legname che i suoi nipoti potettero on vantaggio continuare fino aH’estinzione della loro discendenza avvenuta nella prima metà del secolo XVIII. Un contemporaneo osserva argutamente a suo riguardo che « dopo saziato l’appetito dell’ oro, sentendosi il prorito dell’ambizione che per ordinario non regna nello stato di povertà, capitò volontariamente a far l’ambasciata di Torino e poi di Parigi, e così passando dai monti alla Corte, e dalla capanna alla Reggia ritornò a casa kavalier e senatore di grado»! Quando morì patriarca di Venezia, temendo che i nipoti dissipas- - 261