cipale della chiesa di S. Marco si fermavano e l’alzavano ed abbassavano per nove volte gridando: misericordia! per fare un atto di omaggio alla chiesa della quale era stato patrono. Ciò che si diceva comunemente in quei tempi fare il salto del morto. Dopo, il corteo funebre si avviava alla chiesa dei Ss. Giovanni e P20I0, dove aveva luogo la funzione funebre. Il cadavere veniva collocato col cataletto sopra un grande catafalco, che negli ultimi tempi assunse per la grandezza, le decorazioni, le candele ed i lumi aspetto monumentale. Se il tempo era cattivo, si faceva invece nella chiesa di San Marco. Appena terminata, aveva luogo l’inumazione nella chiesa dove si trovava la tomba. L’esposizione della salma per vari giorni sopra terra dava luogo, non riuscendo bene l’imbalsamazione, a gravi inconvenienti e alle volte dovette essere portata al funerale addirittura chiusa nella cassa, essendo già decomposta. Il primo doge che non volle farsi imbalsamare sembra sia stato Leonardo Donà, il quale si fece seppellire privatamente. In tale occasione venne fatta fare, per sostituire il cadavere nel cataletto nei funerali solenni, una figura di stucco. Anche Antonio Priuli non volle saperne di essere imbalsamato e ordinò espressamente nel testamento che il suo corpo fosse sostituito da un simile simulacro. Non mi risulta esattamente quando l’uso di fare il funerale privato alla salma, sostituendola nel solenne con un simulacro, sia entrato definitivamente in uso. Certo ciò dovette avvenire nel corso del secolo XVII, durante il quale fu estesa l’usanza anche ai funeral), dei cancellieri grandi e degli ambasciatori. Il primo uso del simulacro sembra risalga al doge Giovanni Mocenigo che, essendo morto di peste, dovette essere immediatamente sepolto. Vi erano degli speciali artefici che si dedicavano a farlo, e nella seconda metà del secolo XVIII si rese specialmente noto il mascherai Antonio Luciani. Cercavano di modellarli il più possibile so- 28 -