potrà ». A causa della lotta che dovette sostenere durante il suo dogado contro le inframettenze della Curia romana negli affari dello Stato, ebbe fama di poco devoto. Si andò dicendo che durante la sua morte abbiano avuto luogo apparizioni diaboliche con urli e strepiti. Fu accusato, non so con quanto fondamento, di aver perseguitato il cavaliere Angelo Badoer e di aver provocato il suo bando sotto l’accusa di pratiche illecite con principi esteri special-mente, per personale rancore, essendosi questi permesso un giorno di osservargli che della « casa Badoera non fu mai un traditore della Repubblica come erano stati altri » (alludendo a Giuseppe Donà, parente del doge, impiccato per tradimento) e rinfacciandogli la grande sua fortuna di essere stato malgrado ciò eletto doge. Non prese moglie e non lasciò discendenti, e visse sempre con la famiglia del fratello Nicolò, alla quale in vita fece godere le sue rendite e in morte lasciò il suo, istituendo un fedecommesso in favore dei nipoti. Malgrado ciò non sembra siano corse buone relazioni fra di loro, perchè questi, si dice, gli avrebbe rinfacciato fra l’altro la grande spesa da lui fatta per l’erezione del palazzo sulle Fondamenta Nuove, mentre furono sempre cordiali fra lui e la cognata Adriana Bragadin. Certo, Nicolò Donà, nel testamento del 14 gennaio 1612, neppure ricorda il doge, il quale a sua volta nel suo del 28 maggio dello stesso anno, in cui si dilunga molto per far apparire con quanta sagacia e quanto vantaggio abbia amministrato la sostanza familiare, nomina suoi commissari la cognata e i suoi tre figli, escludendo il fratello « essendo in gran età et non havendo gusto di governo delle cose domestiche». Nella sua vita deve aver avuto molta parte anche una certa Pasqua « vecchissima massara di casa » che lo servì fedelmente per molti anni e che ricorda e rimunera nelle ultime sue volontà. Anche il doge Marcantonio Memmo ha il suo monumento a S. Giorgio Maggiore, a mano sinistra di chi entra in chiesa. È una Marcan- tonio Memmo - 211