gnava a sua volta all’armiraglio dell’Arsenale, si avviava al così detto pozzetto, retto sulle spalle dagli arsenalotti, sul quale secondo l’uso degli imperatori d’Oriente veniva portato in giro per la piazza spargendo danaro al popolo. Sul pozzetto stavano insieme a lui il ballottino ed alcuni stretti parenti, e di dietro Yarmiraglio con lo stendardo sventolante Questo, che aveva sull’asta il pomolo sormontato da una bandie-retta colla croce sopra, simile a quello dei capitani generali, deve essere stato il principale che avessero i dogi, i quali spesso, come vedremo, lo ricordano negli atti di ultima volontà. Insieme al leone di S. Marco andante aveva anche il loro stemma di famiglia. Terminato il giro si recava in palazzo ducale dove il consigliere più giovane gli imponeva il camauro ed il più anziano il corno ducale gioiellato dicendogli: «accipe coronam ducatus Venetiarum ». Fino ad un certo tempo il doge si limitò a lanciare al popolo monete col conio dei suoi antecessori, ma in seguito venne combinato in modo che potesse farlo con monete coniate col proprio. Quindi, dopo essersi affacciato alla loggia del palazzo col diadema in capo per farsi vedere dal popolo, passava nelle sale del Pto-vego e del Maggior Consiglio e nelle proprie stanze dove offriva un banchetto ai quarantuno elettori. 5. Al momento della nomina era tenuto a giurare l’osservanza della Promissione ducale, che regolava i suoi poteri. È interessante la lettura delle Promissioni in cui apparisce la continua e graduale restrizione dei suoi poteri, anche nei più minuti particolari. Esse riguardano non solo la sua persona ma anche i membri della sua famiglia. La più antica conosciuta è generalmente ritenuta quella di Enrico Dandolo, ma, come bene osserva il Cecchetti, questa e la seguente di Pietro Ziani non possono considerarsi delle vere Promissioni, perchè non hanno i caratteri di statuti come quella susseguente di Jacopo Tìepolo su cui si informarono le posteriori. A modificarla, secondo le necessità del momento, si occuparono ' 17