con Pietro Correr alla nomina di bailo a Costantinopoli e fu eletto benché i suoi nemici avessero sparso un ingiurioso cartello con la scritta « Quem vultis ? Illum (Pietro Correr) aut Barabam (Paolo Renier) ? Barabas ? Barabas autem erat latro ». La sostanza della famiglia del doge non era molto cospicua. Nella Redecima del 1740 figurava con una rendita di poco più di tremila ducati, e dal testamento del padre, del 6 ottobre 1748, risulta che su di essa gravavano varie passività contratte in occasione del matrimonio del doge colla Donà e per il reggimento di Brescia sostenuto dall’ altro figlio Girolamo. Gli fu perciò molto utile il baliaggio di Costantinopoli durante il quale potè mettere insieme, speculando in commercio, per quanto affermano alcuni contemporanei, la cospicua somma di novantamila zecchini. Il pensiero da cui venne dominato fu specialmente l’elevazione economica e sociale della famiglia, come risulta anche dal suo atto di ultima volontà, in cui ricorda i sacrifici fatti « per l’onore e sussistenza della famiglia sia nelli pesanti esterni offizi di reggimenti ed ambasciate sia nella collocazione in matrimonio » dei nipoti Giustina ed Alvise. Tornato da Costantinopoli si staccò dal partito della Riforma e venne eletto consigliere ducale e inquisitore di Stato, attirandosi le ire dei novatori, che lo chiamarono apostata. Egli fin da allora aspirava al dogado specialmente per esaudire il vivo desiderio del figlio Andrea. Morto il doge Alvise IV Mocenigo, si presentò candidato insieme al cavalier Andrea Tron ed a Gerolamo Venier. Quest’ultimo era il più quotato, ma essendosi ritirato, fu eletto il Renier. Alla nomina non fu estranea certo la corruzione, che risulta provata dalle Annotazioni degli inquisitori di Stato, ma probabilmente sarebbe egualmente avvenuta per l’alta posizione raggiunta in Senato. I patrizi conservatori, che non potevano dimenticare che prima aveva parteggiato con i fautori della Riforma fecero divulgare un sonetto, mentre si succedevano gli scrutimi dei quarantuno elet- - 311