poteva essere costretto a farlo come successe a Francesco Foscari. Non poteva cercare di aumentare i suoi poteri, non gli era concesso di possedere feudi o beni fuori dello Stato e per un certo tempo anche fuori del Dogado ; di esporre il suo stemma fuori del palazzo ducale, dove poteva tenerlo nella così detta sala dello scudo; di ricevere personaggi con veste ufficiale senza l’assistenza dei suoi consiglieri, di dare risposte agli ambasciatori senza prima averle concordate con i consiglieri o concedere ad essi udienze private nel suo appartamento ; di spedire lettere di Stato senza permesso dei consiglieri e aprire quelle che arrivavano senza l’assistenza degli stessi ; di fare eseguire lavori in piazza e nella chiesa di S. Marco ; dì ricevere doni. Non era ammesso che gli si baciasse la mano o gli si stesse in ginocchio davanti. Doveva pagare le imposte come gli altri patrizi con poche agevolazioni; contribuire per la chiesa di S. Marco, cui era tenuto di regalare, da Iacopo Tiepolo in poi, un panno d’oro. Non poteva allontanarsi da Venezia senza ottenere licenza dal Maggior Consiglio e solo in caso di necessità e per un determinato tempo e luogo. In tal caso vestiva come gli altri patrizi e non aveva diritto ad onori speciali. Non gli era permesso di andare ai caffè e nei teatri, non poteva mettersi in vista. Negli ultimi tempi nella Procuratia dei Filarmonici aveva per suo uso un camerino riservato. Uscendo di giorno dal palazzo vestiva in modo poco differente dagli altri patrizi e talvolta metteva la maschera. La sua gondola, eguale alle altre, si distingueva solo per due cuscini e un tappeto di stoffa cremisi. Dal 1275 il doge era tenuto di regalare ogni anno, il giorno di S. Barnaba, a ogni patrizio, che aveva voto in Maggior Consiglio, cinque e poi due anitre selvatiche, che provenivano dalle valli di Marano da lui tenute in usufrutto. Essendo divenuto difficile col tempo di trovarne un numero sufficiente, il dono venne con- - 19