sero la fortuna, con tanta fatica accumulata, raccomandò loro in modo speciale di non darsi al vizio del giuoco, rovina delle famiglie ! Nella Redecima del 1661 la famiglia risulta censita con una rendita di ben 6123.18 ducati, ma in realtà asseriscono contemporanei che ne aveva 12000 senza contare i vistosi guadagni, che realizzava con l’azienda dei legnami. Fu così possibile a Nicolò Sagredo di entrare nel Senato e di poter aspirare alle più alte cariche pubbliche. Pur non essendo «di molto acume d’ingegno o di finezza di giudizio», riuscì col molto buon senso di cui era dotato a farsi strada, distinguendosi special-mente come diplomatico «colla sua entratura libera e disinvolta» e sostenendo in Senato con un opportuno discorso la necessità di resistere al Turco e di non cedere Candia. Si aggiunga che era, ciò che non nuoce, di umore faceto e galante con le donne, ma senza decidersi di prendere moglie. Potè così ottenere dal re di Spagna la dignità di cavaliere e dalla sua patria la procuratia di S. Marco de citra e spianarsi la via al dogado, che raggiunse per fortunate combinazioni con facilità il 6 febbraio 1675 dopo un solo scrutinio contro i due concorrenti, cavaliere e procuratore Angelo Correr e procuratore Antonio Bernardo. Era allora «di curva statura e piccola, bianco di volto e di crine». Il breve suo dogado trascorse tranquillo con una notevole ripresa del commercio stato depresso dalla guerra. Per la prima volta vennero lastricate di pietra alcune delle vie più frequentate di Venezia cominciando dalla Merceria, mentre prima lo erano di mattoni. Morì il 14 agosto 1676 senza lasciare discendenza e istituendo eredi i fratelli. Morte opportuna, come osserva argutamente un contemporaneo, perchè così riuscì il fratello Alvise a conseguire la nomina a patriarca di Venezia, nomina che per legge mai avrebbe potuto ottenere se fosse vissuto. Negli elogi funebri che gli vennero fatti venne tratto dal suo nome l’anagramma: Dose con gloria! 262 -