ghilterra. Ai due lati della cappella, in ornate nicchie marmoree, stanno, due per parte, quattro busti di marmo, con iscrizioni, rappre-sentanti i principali personaggi della casata. Li sormonta lo stemma di famiglia a colori sostenuto da due leoni controrampanti. A sinistra il dottore, cavaliere e procuratore Alvise, giureconsulto e filosofo di non comune valore, morto nel 1480 e il capitano generale e procuratore, Gerolamo, morto nel 1665 e a destra la romanzesca e tragica effige del ben noto Antonio cavaliere, morto strozzato nel 1622 sulla forca sotto l’accusa di tradimento e poi riabilitato solennemente dal Consiglio dei Dieci, e quello di Sebastiano cavaliere e procuratore ricordato nella iscrizione della tomba. Il busto di Antonio è attribuito a Giuseppe Torretti, quello di Sebastiano ad Antonio Tarsia, quello di Alvise a Pietro Baratta e quello di Girolamo a Paolo Groppelli. Quando Sebastiano morì nel 1711, non dovevano ancora essere a posto i busti, perchè nel testamento di due anni prima, nel quale dà dei saggi in latino delle epigrafi dei busti, ricorda solo quello di Antonio cavaliere fatto scolpire dal prozio Gerolamo, che ancora conservava a casa. Quest’ultimo aveva stabilito di far erigere nella chiesa dei Frari, dove la famiglia aveva la tomba, un ricordo marmoreo in onore del detto Antonio, che vi era sepolto. Il ricordo nel 1650 era in lavoro nella bottega del taglia-pietra Pietro Bagatella di S. Maurizio e dal doratore di S. Polo, ma non è stato mai messo a posto. Della tomba ai Frari presentemente resta solo l’iscrizione e qualche altro resto. Padre del doge, nato secondogenito di due maschi il 4 febbraio 1696, fu il cavaliere Nicolò, divenuto procuratore coll’esborso di venticinquemila ducati e madre Eleonora Loredan di Marco, ultima del suo ramo che costruì il magnifico palazzo « Non nobis » a S. Marcuola. Riguardo alla famiglia a cui apparteneva, che è stata certo una delle più note di Venezia, ricordata nei documenti fino dal novembre 1173, i genealogisti si limitano non si sa perchè a farla venire a Venezia da Aitino e lesolo, senza cercare di darle 302 -