Francesco Morosini XI, che gli mandava ogni settimana la sua benedizione e pianse per la sua morte. Ad un certo momento pensò di abdicare, ma poi desistette da questo proposito essendogli stato osservato che essendo diventato doge per volere di Dio non poteva di sua volontà rinunziare. Morì il 23 marzo 1688 ordinando nella sua umiltà e pietà di essere sepolto nella cappella di S. Francesco della Vigna « con l’ha-bito non già da capuccino, il quale non siamo mai stati degni di portare, ma con un mantello, prettina e beretta senza pompa. Poi siano fatti i funerali con quel lustro e splendore, che è solito farsi secondo l’uso di questa Serenissima Repubblica ». Si dice che abbia piedetto il giorno e l’ora della sua fine e che sia trapassato per suo volere seduto come Cristo in croce recitando le litanie, che interruppe spirando al nome di S. Marco. Lasciò tutto il suo ai fratelli Daniele, vescovo di Bergamo, e Giovanni ed ai nipoti Pietro, Sebastiano, Girolamo e Antonio, figli del defunto fratello Francesco. Fra l’altro ordinò che fosse dorato lo scudo da lui fatto fatto fare e che fosse « riposto in luogo cospicuo » cioè con quelli degli altri dogi in chiesa di S. Marco e che venisse fatto il pallio dorato secondo il solito per l’altare della detta chiesa. Una grande lapide con ornati in bronzo e rame in stile secentesco, che spicca nel mezzo del pavimento della chiesa di S. Stefano, chiude la sepoltura nella quale sta il corpo imbalsamato del grande doge, Francesco Morosini, mentre i suoi visceri vennero inumati a Napoli di Romania dove morì. È di marmo bianco incorniciata di paragone ed ha nel mezzo, entro una lavorata cornice, un grande ornato di bronzo, rappresentante il corno ducale su un cuscino, con quattro bastoni di comando (che significano i quattro capitanati generali da lui sostenuti) sotto un baldacchino di ermellino con cupola sormontata da corona reale. Attorno alla cornice di bronzo su marmo bianco listato di paragone si legge la breve iscrizione 268 -