doge: bartolameo gradenigo. 87 497. — 1340, ind. Vili, Giugno 12. — c. 173 (179). — Privilegio di cittadinanza interna ed esterna, con godimento delle prerogative dei nobili, accordato, a sua richiesta, a Stefano re di Servia, a’ suoi figli ed eredi. — Con bolla d' oro. Dato nel palazzo ducale di Venezia (v. n. 495). V. Liubic, op. cit., IX, 78, e Moti. Bung. hist., voi. cit, 399. 498. — 1340, Giugno 14. — c. 172 (178) t.° — Annotazione come al n. 63 per Daino Quinto di Duccio e Paganino di Righetto, tutti Righetti da Lucca. 499. — (1340), ind. Vili, Giugno 18. — c. 173 (179) t.° — Bertrando patriarca d’ Aquileia, rispondendo a lettere del doge, scrive d’ aver lasciata interamente al giudizio del commissario veneto Marco Cornaro la lite vertente fra gli uomini di Portole e quelli di Montona, e che ne approva quindi la sentenza, benché manchi delle solite formalità giuridiche. Non volendo poi aggravare gli abitanti di Portole, vi manderà al tempo della messe un suo incaricato che potrà trovarsi il giorno di S. Bartolameo con un mandatario veneto, per intendersi circa la detta sentenza. Data nel castello di Udine. 500. — 1340, Giugno 22. — c. 172 (178) t.° — Annotazione come al n. 68 per Freduccio del fu Bene del Cinque da Lucca. 501. — 1310, ind. Vili, Luglio 10. — c. 146 (152) t.° Annotazione di privilegio simile al n. 438 rilasciato al nobile Bernardo degli Scannabecchi da Bologna podestà di Mantova. 502. — 1340, ind. Vili, Luglio 10. — c. 178 (184). — Sentenza pronunziata da Nicolò Gradenigo figlio del doge (Bartolameo), Pietro Bragadino e Michele Fa-liero in lite vertente fra Ubertino da Carrara signore di Padova ed Alberto e Mastino della Scala signori di Verona. In forza dell’ articolo del trattato di pace 24 Gennaio 1338 fra Venezia, Firenze e gli Scaligeri, che ammetteva Ubertino suddetto co’ suoi possedimenti vecchi e nuovi a fruire dei vantaggi assicurati a Venezia e a Firenze ; e in virtù dell’ altro articolo che creava il doge giudice delle contese che potessero insorgere fra gli Scaligeri da una parte e i vescovi di Parma e di Vicenza, i Rossi, il Carrarese, Vivario da Vivaro ed altri vicentini, Iacopuccio d’Arzignano, gli uomini di Montecchio o quelli della riviera bresciana del Garda dall’altra, il signore di Padova sporse querela al doge : che quelli di Verona avevano, con un taglio negli argini dell’Adige presso Bighese inondato il tenere di Castelbaldo ; e fatto di più costruire un canale di scolo conducente le acque presso S. Seivaro fino alla fossa della Fratta; che i vicentini con una palafitta eretta fra Villazotta e Caselle impedivano la navigazione del canale fra Este e Montagnana ; che in fine gli stessi vicentini avevano occupato parte del padovano al di qua del Brenta. Il doge deputò i tre giudici summentovati, i quali, udite le parti, cioè: Bonaventura del fu Francesco da Casta-gnè e Giovanni del fu Guido Merzario giurisperiti procuratori degli Scaligeri e del