Del silenzio pomposo, il tristo sonno Dorinoli di morte aneli’essi al par del volgo, Che giace in mezzo a mal scavata terra Mesto e confuso. - Or, mio pensier, ti calma. Alti*’ ombre qui non son, che le prodotte Da caldo immaginar. Cessi il timore. Ma la sorpresa ancora ha luogo. E come Costor, che appena misurar col guardo Potermi l’ampia terra e i vasti campi, Retaggio di lor sorte, or qui ridotti Son d’un feretro alla misura angusta? U’son gli ornati ed i preziosi arredi De’ lor palagi? Dove le superbe Vesti trapunte d’auree fila? E dove La turba folta di ministri e servi? Gli chiude un antro, un vii lenzuol gli cuopre Soli ignudi si stan tra le funeste Pareti ignude. Io più non veggo i cocchi D’ artefatto metal pesanti e gravi, Nè intorno a quei d’ adulator la folla ; Più non si ferma la curiosa plebe A vederne il passaggio, e dell’ inquieta Tacita invidia i simulati e tìnti Plausi addoppiar, che 1’ utile speranza Dai sensi estorce, mentre il cuor ripugna. Principi della terra, or qui soletti Posti siete in obblio. S’ aspetta indarno Il consueto omaggio. I vostri servi Non vi ravisan più. Forse più lieti I vassalli ne son, che al termin giunto Sia del superbo dominare il giogo,